Nel suo saggio Drunk, Edward Slingerland, professore di orientalistica all’università della Columbia Britannica, in Canada, fa appello ad archeologia, antropologia, storia, neuroscienze, psicofarmacologia, psicologia sociale, letteratura, poesia e genetica per promuovere i benefici sociali, culturali e psicologici dell’ubriachezza. Secondo lui aiuterebbe a risolvere sfide tipicamente umane come migliorare la creatività, alleviare lo stress, costruire la fiducia e realizzare il miracolo di convincere dei primati ferocemente tribali a collaborare con gli estranei. Slingerland affronta e prova a smontare ogni effetto collaterale, come i problemi di salute (un conto non così alto da pagare) o l’aggressività sessuale (comportamenti provocati da norme sociali patriarcali o misogine più che dalla molecola dell’etanolo). Per fortuna cade in qualche contraddizione quando mette in guardia sull’assunzione dei distillati e sul pericolo di bere al di fuori del contesto tradizionale dei rituali sociali controllati. Altrimenti il suo Drunk sarebbe stato uno studio quasi convincente. Kirkus

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Questo articolo è uscito sul numero 1438 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati