Il buon vecchio Balzac è sempre popolare. Adesso è Xavier Giannoli a rivolgersi a lui per raccontare l’ascesa e la caduta del celebre Lucien de Rubempré, giovane poeta di provincia in cerca di fortuna nella scintillante Parigi. Ma ha senso oggi rispolverare questo classico ottocentesco, uno dei pilastri della Commedia umana? Decisamente sì. Prima di tutto perché Giannoli evita le rigidità dei film in costume facendo scelte radicali. Tanto per dire, il regista ha stralciato intere parti dell’apprendistato di Lucien, quelle più edificanti e positive, per mettere al centro del suo film il lato oscuro dell’opera. Dopo un breve prologo in provincia – la parte meno convincente del film – Giannoli mette in scena, con evidente entusiasmo, la corruzione che la capitale esercita sull’idealismo ingenuo di Lucien. Finito nei quartieri più sordidi di Parigi, il giovane scopre il mondo scellerato di una stampa che si affretta a vendere la sua anima, e diventa, a sua volta, “mercante di frasi e trafficante di parole”, al punto di compromettere non solo la sua integrità, ma anche il suo futuro. Di un classicismo elegante, la messa in scena di Giannoli è in contrasto con gli eccessi, molto spesso deliberati, della storia.

Hélène Marzolf, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati