Il terzo libro di Sally Rooney è il primo a essere scritto sotto i riflettori dell’attesa, e si vede. Ci sono cose buone anche qui, di sicuro, ma il piacere puro non è all’ordine del giorno; è una sorta di Essere Sally Rooney che rischia di confondere i fan e lasciare freddi i detrattori. Il libro è incentrato sugli intrecci sessuali di una scrittrice premiata, Alice, e della sua vecchia compagna di università, Eileen, che compiono entrambe trent’anni. Dopo un periodo sfortunato a New York, Alice decide che non scriverà un altro libro, perché dedicarsi alla narrativa le sembra “volgare, decadente e persino epistemicamente violento” in un momento in cui dovremmo ridistribuire le risorse globali “e passare a un modello economico sostenibile”. Questi pensieri, presentati senza ironia, forniscono un contesto inquieto per l’azione principale del romanzo, una storia d’amore a quattro. Eileen, impiegata in una rivista letteraria di Dublino, va a letto con la sua cotta d’infanzia, Simon, un consigliere politico; Alice, che ora vive al mare, s’innamora del suo amante occasionale conosciuto su Tinder, Felix, un magazziniere. Solo dopo che Alice invita Felix a Roma per il lancio del suo libro in Italia (“Sono ricca e famosa, ricordi?”) la storia prende vita; lui è al centro di tutti i momenti migliori del romanzo, non ultimo quando Eileen e Simon finalmente fanno una visita a lungo rimandata ad Alice per la prima volta da quando è tornata in Irlanda. Provocatore nato, Felix porta alla luce rancori sepolti e la sua presenza nel libro permette contrappunti maliziosi. Il motore narrativo è essenzialmente epistolare, con messaggi che generano ironia drammatica sotto forma di bozze non inviate e risposte contraddittorie a diversi destinatari. Se Parlarne tra amici era raccontato in prima persona e Persone normali rigorosamente in terza, qui la voce narrante è esterna. È questo il modo di Rooney di scrollarsi di dosso l’etichetta di “voce di una generazione”? Certamente, Dove sei, mondo bello è il suo libro più scomodo. Quando Alice si preoccupa del fatto che la narrativa ci fa dimenticare il “brutale sfruttamento della maggior parte della specie umana”, è come se McDonald’s insistesse nel mostrare ai clienti i filmati del mattatoio mentre mangiano i loro Big Mac.
Anthony Cummins,
The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1451 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati