Nel febbraio 2010, Florence Aubenas (reporter di Le Monde e prima, per vent’anni, di Libération) pubblicava Le quai de Ouistreham, risultato di un’inchiesta sul mondo del lavoro precario. Per scriverlo Aubenas per sei mesi aveva lavorato sui traghetti che partono dal porto di Caen-Ouistreham. Il libro suscitò un grande clamore. Nel libero adattamento di Emmanuel Carrère, Aubenas diventa Marianne Winckler, una famosa scrittrice interpretata da Juliette Binoche (che ha recitato accanto a un cast di non professioniste). La star si cala tra i mortali per infilarsi nei loro panni: indecenza o fedeltà alla realtà? Un’asimmetria che pone un problema etico ben noto. Tutto il film parla di questa impostura, esplora il dilemma se – nella finzione, come nel lavoro giornalistico – il fine giustifica i mezzi. Il film ha il buongusto di non essere coinvolgente, perché quello che interessa davvero Carrère è il ritratto di una scrittrice doppiogiochista. Non punta sulla denuncia sociale, ma sulla descrizione dell’amicizia tra Marianne e una sua collega. Se le azioni di Marianne possono essere oggetto di discussione, si può però scagionare Juliette Binoche che ci offre una “spia” onesta e senza secondi fini (almeno per quanto la scrittura glielo permette). Tra i pregi che ha, il film si preoccupa di non tradire nessuno quando gioca con il paradosso secondo cui è possibile mentire senza ingannare.
Sandra Onana, Libération
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati