La protagonista senza nome di Melma rosa è intrappolata nel mezzo di un’epidemia che sta spazzando via la città di Montevideo. Un giorno le spiagge si sono riempite di pesci morti. L’acqua del fiume ha cambiato colore. I militari passano giorni a pulire le spiagge, pensando che i pesci siano la causa del problema. Si sbagliano, c’è qualcos’altro che paralizza ogni angolo della città: un vento rosso che piega gli alberi e presto s’impossessa anche degli esseri umani. Gli ospedali cadono a pezzi, il cibo diventa sempre più scarso. Le persone sono costrette a nutrirsi di una melma rosa, ricavata dai resti degli animali. Gli abitanti della città sono messi in quarantena. Una donna di quarant’anni racconta in modo prosaico la disgregazione di Montevideo e allo stesso tempo ripercorre la propria vita. La reclusione le permette di rivivere le scene della sua infanzia e la nostalgia la riporta al passato. Tra i muri della sua casa lotta con il suo futuro incerto. Qualcosa è cambiato nella sua vita, ma non sa come abituarsi a questo nuovo ritmo, a questo nuovo movimento che le toglie il respiro. La scrittura di Fernanda Trías è carica di onde così forti che colpiscono e allo stesso tempo guariscono la nostra anima. Queste pagine ci faranno capire che una volta deciso di cambiare direzione non potremo cancellare il nostro passato. In compenso possiamo scegliere gli oggetti, i gesti, le frasi che rimarranno nella nostra memoria. Sono proprio queste linee che ci insegneranno a gestire l’assenza.
Elena Chafyrtth,El Espectador

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati