Quasi nessun modello è idealizzato come quello della “buona madre”. Per esserne all’altezza, le donne lavorano come schiave, in casa e fuori. È anche vero che quasi nessun’altra figura è presa di mira dalla letteratura con la stessa intensità. Hila Blum, per esempio, dimostra che i bambini sono abusati anche quando diventano uno schermo di proiezione per le loro madri. In Come amare una figlia, tuttavia, non si tratta solo della realizzazione della madre attraverso la figlia, ma anche del troppo amore. Per la protagonista Joela, la figlia Lea diventa lo scopo decisivo della vita. Il fatto di avere bisogno di lei l’ha liberata da una grave depressione. Il ruolo di madre, pur con tutte le responsabilità e le fatiche, è stato per lei una salvezza, non un colpo di grazia. Da quella relazione di dipendenza la figlia può liberarsi solo scappando. Non esiste una “buona madre”, ci sono solo donne che cercano di essere buone madri e falliscono sempre. Forse perché alla fine sono solo una cosa: esseri umani.
Elisa von Hof, Der Spiegel
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Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati