Honestly, nevermind è un album house e questo tradizionalmente non è un genere con il quale i rapper si dilettano. Ma ci sono dei precedenti. Il mixtape di Drake del 2017 More life aveva una spolverata di brani dance come Passionfruit. Kanye West aveva campionato il classico house degli anni novanta Deep inside degli Hardrive nel suo brano del 2016 Fade mentre, se si torna alla fine degli anni ottanta, si trovano brani house dei Jungle Brothers e di Queen Latifah. Ma sono casi isolati. Eppure ecco Drake, con un album quasi interamente basato su ritmi dance e in cui le canzoni si susseguono come se facessero parte del mix di un dj. Il genere di riferimento principale di Honestly, nevermind è la deep house vecchia scuola. I pezzi non sono male: Falling back sembra uscita da un nastro vecchio di dieci anni, mentre la melodia di pianoforte di A keeper è meravigliosamente malinconica. Nonostante la svolta musicale c’è il solito problema dei dischi di Drake: Honestly, nevermind è passivo-aggressivo fin dal titolo. E i testi sono pieni di delusione stizzita e di “come ti permetti” rivolti alle ex. Si evoca ancora un mondo adolescenziale in cui è sempre colpa degli altri. Viene spontaneo chiedere al rapper: so che il tuo pubblico ti adora, ma non ti stai annoiando a recitare questa parte? La sensazione che lo stile house rappresenti un diversivo piuttosto che una nuova direzione invece è sottolineata dai pezzi finali, come Jimmy Crooks, dove si torna alla trap. C’è qualcosa di ammirevole nel desiderio di Drake di andare oltre la musica che il pubblico si aspetta, ma sarebbe bello se cercasse di cambiare anche il suo carattere.
A. Petridis, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1466 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati