Il documentario di Kiwi Chow, presentato a Cannes, è il resoconto della battaglia per l’autonomia di Hong Kong che il governo cinese non vorrebbe mai farvi vedere. Usando un vero e proprio martellamento di materiale ripreso da webcam e droni, Revolution of our times copre sei mesi di proteste scoppiate nel 2019 dopo l’approvazione della legge che permette l’estradizione dei cittadini di Hong Kong in Cina. Vediamo persone di ogni età, soprattutto giovani, che scendono in piazza per condannare questo attacco alla loro libertà e per far conoscere al mondo la loro ribellione al controllo cinese. E finiamo in prima fila attraverso il punto di vista di giornalisti che hanno seguito la vicenda molto da vicino, come Gwyneth Ho, che nel frattempo è stata arrestata. Vediamo lacrimogeni sparati senza motivo, adolescenti che cercano di ripararsi dai manganelli, un uomo di settant’anni travolto dalle truppe antisommossa, una folla di persone in camicia bianca che attaccano gli attivisti sotto gli occhi delle autorità, che non muovono un dito per impedire la violenza. Siamo testimoni anche dell’aspro scontro all’interno del movimento di protesta tra i pacifisti e i cosiddetti valiant (audaci) pronti a rispondere con atti di vandalismo e l’uso delle molotov alla brutalità delle autorità. Il regista del film, Kiwi Chow, hongkonghese di 42 anni, organizzando in modo preciso una grande quantità di materiale mostra chiaramente da quale parte sta. C’è poco da dire su questo suo schierarsi in modo quasi sfacciato. Fa vedere così tanto sangue versato in nome della democrazia, così tante lacrime, che è impossibile non farsi coinvolgere.
Tim Robey, The Daily Telegraph
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Questo articolo è uscito sul numero 1467 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati