“Saremo pure emarginati ma ascoltiamo tutto” canta EzraFurman in Train comes through, brano di apertura del suo sesto album. Una frase che rende l’idea del viaggio che stiamo per intraprendere. In fondo non sorprende che All of us flames sia dedicato proprio ai reietti: negli anni la musicista di Chicago ha dato voce agli ultimi con il suo indie rock orchestrale, che comunica con forza il suo obiettivo. Anche se questo lavoro chiude una trilogia cominciata con Twelve nudes del 2018 e proseguita con Transangelic exodus del 2019, si differenzia da questi album per la determinazione nel difendere, con rabbia e speranza, la causa queer. L’album ripercorre le lotte della comunità lgbt+ insieme alle esperienze personali dell’artista, come donna transgender ed ebrea; nonostante la religione e le questioni di genere non vadano spesso d’accordo, Furman riesce, senza fare la predica, a metterle in contatto, ribadendo quanto nella Bibbia ci si preoccupi di aiutare i deboli. Tuttavia il risultato finale suona un po’ pesante e faticoso, e viene spontaneo farsi una domanda: per una volta, un approccio più minimalista non potrebbe funzionare meglio per fare arrivare il messaggio? All of us flames è un chiaro esempio di quanto, a volte, meno sia meglio.
Michelle Kambasha, Nme
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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati