Più si guarda da vicino il tema della bellezza, più appare brutto. D’altra parte, la ricchezza è oscena da qualunque angolo si guardi. L’irriverente e satirico Ruben Östlund va dritto al punto, guardando da vicino il mondo elitario dei supermodelli e quello dei superricchi in Triangle of sadness, titolo che prende spunto da un termine usato nell’ambiente della moda per indicare la ruga a forma di V che si forma in mezzo alle sopracciglia con l’età o lo stress. Niente che non si possa risolvere con un po’ di botox. Il film perfidamente divertente con cui Östlund ha vinto la sua seconda Palma d’oro condivide una strategia buñueliana con The square, che nel 2017 gli fece vincere la prima. E cioè il fatto di mettere dei personaggi a loro agio nei loro privilegi in situazioni disagevoli. La teoria su cui lavora, fluttuando tra discussioni su marxismo e capitalismo, è che la bellezza può essere una forma di valuta, anche se molto volatile. E per testare la teoria fa affondare una nave da crociera di lusso e osserva come i sopravvissuti siano in grado di cavarsela su un’isola deserta, dove un Rolex non serve a niente, ma essere belli può aiutare. Peter Debruge, Variety
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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati