Gli Ezra Collective fanno parte di una scena jazz londinese che dà la priorità all’apertura mentale. Per loro suonare un pezzo in maniera impeccabile è meno importante che infrangere qualche regola. Il loro obiettivo è mischiare i generi. Qualche anno fa la band si è goduta il successo del suo esordio, You can’t steal my joy. Il tour è stato interrotto a causa della pandemia, così la band ha avuto tempo per ponderare la prossima mossa. Questo secondo lavoro rovista di più nelle tasche dell’hip hop e del neo soul, coinvolgendo artisti come Sampa the Great, Kojey Radical ed Emeli Sandé, anche se il lavoro fatto dagli Ezra Collective è così compatto che gli ospiti non sono fondamentali. Quella copertina con un sorridente Femi Koleoso, batterista e leader del gruppo, è una versione ottimistica di Underground di Thelonious Monk. Where I’m meant to be non è un concept album ma è guidato dall’idea di celebrare la vita. Il disco non s’impone del tutto perché alcuni passaggi parlati suonano troppo autocelebrativi, da una conversazione con Tony Allen a un’altra, al telefono, con il regista Steve McQueen. Momenti che funzionano meglio nelle interviste e nei comunicati stampa, tanto più se parliamo di artisti che di solito lasciano che sia la musica a parlare per loro. John Garratt, Spectrum Culture

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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati