Il romanzo d’esordio di Cheluchi Onyemelukwe-Onuobia racconta di due donne, Nwabulu e Julie, che hanno avuto fortune molto diverse nella vita, ma che sono inspiegabilmente legate dal destino. Nwabulu è un’orfana mandata a Enugu, in Nigeria, come domestica per una famiglia benestante. Lì, proprio quando sembra che la sua sorte stia migliorando, rimane incinta del figlio di un vicino. È restituita alla perfida matrigna, si sposa in circostanze bizzarre e alla fine perde il bambino. Tornata al punto di partenza, scappa in città dove la fortuna le arride. Julie, invece, è la prima figlia di un catechista. Da ragazza ha avuto un buon numero di spasimanti, ma li ha respinti tutti finché non si è ritrovata a trent’anni senza alcun pretendente. Comincia una relazione con un uomo sposato e alla fine lo sposa. In un vortice d’inganni, con un’amica ruba un bambino per risolvere i problemi del suo matrimonio, regalandosi tre decenni di felicità prima di incrociare la strada di Nwabulu. Il romanzo è diviso in tre parti: le due donne ne hanno una ciascuna e le loro voci si fondono nell’ultima parte, forse a simboleggiare il modo in cui le loro vite s’intrecciano. Onyemelukwe-Onuobia introduce il lettore, bendato, in un pantano. C’imbattiamo in due donne tenute in cattività, senza sapere ancora come si siano trovate in questa situazione. L’autrice traccia un arco che porta a sciogliere a uno a uno tutti i nodi, e prima di concludere torna alla scena nel covo dei rapitori. La storia abbraccia quattro decenni, a partire dalla fine degli anni sessanta. La vicenda di Julie, in particolare, comincia subito dopo la guerra civile nigeriana. Ma i conflitti e la politica sono un’impalcatura, non la sostanza dell’opera. Le storie sulla guerra sono solitamente incentrate sulla perdita. Due vite, due donne si dedica a un tipo di perdita molto particolare, quella di sé. Cheluchi Onyemelukwe-Onuobia mette al centro la questione degli effetti psicologici dei conflitti sulle vittime, in contrapposizione alla perdita dei beni materiali. Si tratta di un territorio abbastanza inesplorato nelle riflessioni sulla guerra. La storia è brillante per i suoi temi e per la potenza della prosa. Il linguaggio è sognante, come il racconto di un potente cantastorie.
Joshua Chizoma, Afrocritik
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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati