L’autore irlandese Keith Ridgway mescola vite londinesi in un romanzo diviso in nove parti, con i personaggi che si scontrano o si sfiorano gli uni con gli altri, i collegamenti che si moltiplicano, i temi che si stratificano, le immagini che si ripetono. Si tratta di un modo un po’ fuori dagli schemi di costruire un romanzo, ispirato a un’interpretazione sovversiva del realismo che sa quanto possa essere strana la realtà. Ridgway mostra una dedizione radicale ai punti di vista dei suoi personaggi, pur mantenendo una comicità e una compassione ironiche. Dagli incontri gay alle riunioni del partito laburista, dalle battute al pub all’insicurezza abitativa il risultato è intelligente, preciso, politico. Le sue frasi abbracciano senza sforzo sia l’umile sia il metafisico, l’ordinarietà sembra fresca, mentre la stranezza suona vera. Nella parte iniziale, un’anziana vedova deve sopportare una festa in casa dei suoi vicini gay, piangendo il marito mentre le pareti riverberano la musica e le chiacchiere degli estranei. La narrazione del flusso di coscienza cerca d’immergere il lettore nel fiume dei pensieri, e Ridgway ci porta proprio lì, nel miracolo del momento presente. Da una sottile esplorazione di come il razzismo possa intromettersi in un’amicizia alla rabbia bruciante della disuguaglianza, Uno shock presta molta attenzione al tessuto politico e geografico della Londra contemporanea. Ma l’autore gioca anche con l’edificio della finzione. Tunnel e camere segrete, spazi tra le pareti: il romanzo è ossessionato dall’idea di uscire dalle stanze e dai ritmi della vita quotidiana per entrare nel rovescio della realtà. Nella Londra di Ridgway non si è mai lontani da ratti e roditori. A volte sono oscenamente reali, una frattura nella normalità, altre sono allucinazioni da droga o qualcosa di più strano. Il libro si conclude chiudendo il cerchio, tornando quindi alla notte della festa, ma questa volta siamo dall’altra parte del muro, nella mischia della vita. In questo romanzo giocoso ma profondamente sincero, Ridgway s’infila negli spazi vuoti del realismo e crea qualcosa di meravigliosamente nuovo. Justine Jordan, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati