Non importa se Women talking non vincerà l’Oscar per il miglior film, come forse meriterebbe. Né che magari la maggior parte del pubblico troverà deprimente un film che parla dello stupro di più di cento donne e ragazze. Perché anche se la superlativa opera di Sarah Polley non dovesse ottenere il successo e il consenso che merita, è probabilmente destinata a trasmettere un’eredità molto più grande. È un tipo di cinema che resiste perché ci consente di progredire. Le donne di una comunità religiosa isolata per anni sono state drogate e aggredite nel sonno, dando la colpa a demoni e fantasmi. È un fatto vero, raccontato nel romanzo del 2018 Donne che parlano di Miriam Toews, da cui è tratto il film. Mentre gli uomini finiscono in carcere in una città vicina (ma usciranno presto su cauzione e torneranno), le donne s’incontrano in un fienile per decidere che fare: niente, restare e combattere, oppure fuggire. Quello di cui stanno parlando in realtà è come resettare o superare un mondo incrostato da violente strutture patriarcali. August (Ben Winshaw), l’unico uomo che apparentemente non è un vile predatore, redige una sorta di verbale dell’incontro, visto che le donne non sanno leggere e scrivere. Il cast nel suo insieme è strepitoso e l’argomento è esplosivo. Ma il film di Sarah Polley è più simile a un inno o a una preghiera senza tempo. Una dolce riflessione sul perdono e la sopravvivenza, e su come riuscire a creare un mondo migliore. La violenza ha lasciato segni diversi sui corpi e sulle menti delle donne, e diverse sono le reazioni. Salome (Claire Foy), furiosa, ha cercato di uccidere uno degli uomini. Ona (Rooney Mara), incinta, si trova di fronte a un dilemma: se decideranno di restare e combattere, per cosa lotteranno esattamente? Mariche (Jessie Buckley), il cui marito è un violentatore, preferirebbe fare finta di niente. Senza clamore Sarah Polley ha realizzato il primo grande capolavoro cinematografico post-MeToo. Al contrario di quello che non può fare un generico hashtag, è riuscita ad affermare che di fronte agli abusi non esistono risposte e reazioni uniche.
Jessie Thompson, Independent
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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati