Nonostante una discografia molto ricca, il personaggio creato da Jean Cocteau e messo in musica da Francis Poulenc è rimasto legato a una voce: quella di Denise Duval, che lo creò nel 1959. Felicity Lott o Jessye Norman l’hanno cantato meglio, ma Duval è un’artista d’epoca. Quel tipo di voce, l’accento, la maniera terribilmente efficace di pronunciare il testo sono caratteristiche che non ritroveremo più. E l’identificazione tra la parte e l’interprete ha reso il compito difficile alle generazioni successive di cantanti. Véronique Gens si è messa alla prova, e ha fatto bene. La sua pronuncia è impeccabile, senza la secchezza della vecchia scuola francese, e il suo timbro di velluto è indiscutibilmente più seducente. È sempre riservata e non cede agli effetti emotivi espressionisti o eccessivi, però sa rendere vivi i diversi stati psicologici attraverso cui passa l’eroina in questo lungo atto unico. Cocteau amava le grandi voci liriche e Véronique Gens ce l’ha: è capace di sguainare una potenza enorme e acuti solidissimi, ma rimane sempre in equilibrio sul filo sottile di questa strana partitura, che rischia sempre di precipitare in un realismo ridicolo. Alexandre Bloch e i musicisti di Lille la seguono con grande attenzione.
Jacques Bonnaure, Classica

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Questo articolo è uscito sul numero 1506 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati