Gli Everything but the Girl tornano dopo 24 anni e per molti versi è come se non fossero mai andati via: il suono di Fuse ricorda il loro arrivo nel mondo dei club degli anni novanta, quando il breakbeat s’infiltrò nella sognante elettronica indie. Ma qui c’è una differenza cruciale, ed è Tracey Thorn. Parlando di Temperamental (1999) lei ha scritto che “in un certo senso ero la cantante ospite nell’album di qualcun altro”. In Fuse non è così. Il sobrio pianoforte di Ben Watt e i synth tesi e carichi d’ansia fanno un passo indietro e lasciano Thorn in primo piano. E lei è più che all’altezza del compito: ora ha una voce più piena, profonda, arricchita dall’esperienza e perfettamente adatta a queste canzoni sulla ricerca della luce nell’oscurità. “Dammi qualcosa a cui posso aggrapparmi per sempre”, supplica in Forever. “Non essere così duro con te stesso, fatti un’altra sigaretta”, consiglia decisa in When you mess up. Ma è il ritornello di Nothing left to lose – “Baciami mentre il mondo va in rovina” – che racchiude nel modo migliore il disco. C’è una presa di coscienza che per far passare la fatica – quella che forse arriva con l’età, o forse è un sintomo dello zeitgeist di oggi – servono l’amore e il dolce abbandono nella danza.
Becca Inglis, The Skinny

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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati