Date a Billy Woods un filo e lui tesserà un labirinto. Le sue narrazioni navigano in mezzo alle divertenti assurdità dell’esistenza attraverso metafore e minotauri, senza vicoli ciechi, solo corridoi che si snodano a spirale verso l’interiorità. Nei diari di viaggio di Woods, raccontati attraverso ricordi confusi e rivisitazioni in colori saturi, non si capisce mai chiaramente dove sia diretto, ma è bello perdercisi dentro con lui. Maps, la seconda collaborazione del rapper statunitense con il produttore Kenny Segal, è una sequenza di road movie coinvolgenti e introspettivi. È un’odissea rappresentata attraverso gli occhi annebbiati di un artista in tour in Europa, da Bratislava a Utrecht, a base di dispacci dai ristoranti etnici e cucchiai unti, backstage dissoluti e voli in classe economica. Woods fa da spettatore in un lussuoso afterparty nel brano FaceTime, e opportunamente consegna il ritornello a Samuel T. Herring dei Future Islands, uno che sa raccoontare la foschia mondana della vita in tour. Ma solo un paio di canzoni dopo, in NYC tapwater, Woods è a casa sua, felice di trovare finalmente tranquillità e di tenere in grembo un gatto che fa le fusa. Non c’è un posto come casa, nel bene e nel male, ma durante il viaggio dall’altra parte del mondo il rapper ha trovato una poesia profonda e sottile nelle immagini, nei suoni e nelle sensazioni.
Jeff Terich, Treblezine

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati