Si parla molto dell’ipotesi che l’intelligenza artificiale prima o poi possa sostituire l’essere umano. Anche i documentaristi s’impegnano a capire quale potrebbe essere il futuro del lavoro. Mentre alcuni di loro si concentrano su aree specifiche come il reddito universale (Free money) o la gig economy (The gig is up), il regista italosvedese Erik Gandini ha scelto una strada più filosofica interrogandosi sulla natura del lavoro e sul nostro atteggiamento nei suoi confronti. Per farlo visita Italia, Stati Uniti, Corea del Sud e Kuwait esplorando opinioni individuali e posizioni particolari adottate dai paesi. In Corea per esempio la cultura del lavoro dall’alba al tramonto è talmente radicata e dannosa per salute e benessere dei cittadini, che il governo è dovuto intervenire per riequilibrare i tempi dell’impiego e della vita privata. L’argomento è affrontato in modo serio, ma Gandini sa anche essere spiritoso. Che dire di uno statunitense che si sbellica dalle risate all’idea che un lavoratore possa prendersi più di due settimane di vacanze alla volta? E che dire di chi non lavora affatto? Se in gran parte del mondo sono pochi quelli che possono permettersi di non fare nulla, in Kuwait lo stato paga per oziare: il lavoro è un diritto garantito e questo porta a un esorbitante eccesso di personale negli uffici governativi. Anche qui l’autore entra nel dettaglio. È chiaro che After work non può esaurire un argomento così vasto, ma Gandini offre un tour spigliato e stimolante, lasciando agli spettatori il compito di trarre le conclusioni. Tuttavia sembra voler suggerire che il tempo stringe. Le modalità e la natura del lavoro stanno cambiando, che a noi piaccia o no.
Amber Wilkinson, Eye for film
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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati