Tra le grandi città europee che hanno cercato di ridurre il traffico automobilistico il caso più celebre è certamente quello di Parigi, l’area metropolitana più grande del continente, dove per decenni l’auto è stata onnipresente, scrive Henry Grabar sulla rivista statunitense Slate. La protagonista di questa rivoluzione è Anne Hidalgo, la sindaca socialista che guida la città dal 2014. La sua prima mossa, nel 2017, è stata convertire la strada a scorrimento veloce che costeggiava la Senna in un lungofiume pedonale. Nel 2020 Hidalgo è stata rieletta con la promessa di trasformare Parigi in una “città da quindici minuti”, un concetto introdotto dall’architetto Carlos Moreno, secondo cui tutti i servizi essenziali devono essere accessibili senza lunghi spostamenti.
Approfittando dei cambiamenti dovuti alla pandemia di covid-19, la sindaca ha ampliato la rete di piste ciclabili e pedonalizzato parte della centralissima rue de Rivoli. In tutta l’area urbana il limite di velocità è stato abbassato a trenta chilometri orari e il costo dei parcheggi a bordo strada è stato portato a sei euro all’ora. Le vie davanti a centinaia di scuole sono state chiuse al traffico.
E i piani per il futuro sono ancora più radicali: lo stop ai veicoli più vecchi e inquinanti a partire dal 2024, il divieto di attraversamento del centro e la messa al bando di tutti i veicoli con un motore a combustione a partire dal 2030.
Secondo alcuni la città rischia di diventare un posto accessibile solo ai turisti e a chi svolge lavori intellettuali ad alto reddito, mentre gli abitanti dei quartieri periferici più poveri saranno progressivamente esclusi. Ma il malcontento degli automobilisti e dei commercianti non è mai sfociato in un movimento di protesta organizzato, anche perché gli abitanti delle periferie, i più penalizzati dalle misure, non hanno mai avuto la possibilità di esprimersi.
I confini del comune di Parigi infatti sono ancora quelli del 1860, e al loro interno vive solo un quinto della popolazione totale dell’area urbana. “Gli elettori di Hidalgo possono davvero usare la bici per andare dove devono”, conclude Grabar. Una storia molto meno nota è quella di Bruxelles, raccontata da David Zipper su l sito statunitense Bloomberg. Fino a pochi anni fa la capitale belga era considerata un paradiso per gli automobilisti. In Belgio c’erano gli stabilimenti di molti marchi internazionali e il governo faceva di tutto per favorire l’uso dell’auto. Nel dopoguerra interi quartieri di Bruxelles erano stati demoliti per fare spazio a nuove strade, e la città era diventata una delle più trafficate d’Europa.
Ma le cose hanno cominciato a cambiare nel 2004, quando Pascal Smet è stato nominato ministro della mobilità della regione di Bruxelles e ha introdotto alcune delle misure adottate nelle città fiamminghe, come la creazione di piste ciclabili e la riduzione dei parcheggi. Inizialmente il piano ha incontrato una forte resistenza, ma con il tempo le idee di Smet hanno fatto presa. Nel 2012 migliaia di persone hanno organizzato dei picnic su un viale del centro per chiederne la pedonalizzazione. Nel 2018 e nel 2019 i Verdi hanno ottenuto un successo senza precedenti alle elezioni locali e regionali, con una campagna basata in gran parte sulla riduzione del traffico. All’inizio del 2020 la nuova ministra della mobilità, la verde Elke Van den Brandt, ha varato un piano chiamato Good move, che prevedeva la chiusura al traffico di interi quartieri. Poco dopo è arrivata la pandemia di covid-19, e le autorità cittadine hanno approfittato dei limiti agli spostamenti per riorganizzare la rete stradale e costruire quaranta chilometri di piste ciclabili. Ma il passo più radicale è arrivato nell’agosto del 2022, quando il comune ha drasticamente limitato il traffico attraverso il centro storico e ha creato una delle aree pedonali più grandi d’Europa.
I risultati sono stati evidenti: se nel 2017 il 64 per cento degli spostamenti nella regione di Bruxelles avveniva in auto, nel 2022 si era scesi al 49 per cento. L’opposizione al piano Good move è ancora forte, e in alcuni quartieri ha portato alla sospensione delle misure, ma secondo Van den Brandt si esaurirà con il tempo: “È un po’ come smettere di fumare. All’inizio è dura, ma dopo un po’ diventa più facile, e ti senti molto meglio”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 49. Compra questo numero | Abbonati