Da più di sei mesi negli Stati Uniti ci sono carenze di destroanfetamina (più conosciuta come Adderall) e metilfenidato (Ritalin). Ufficialmente, questi farmaci stimolanti sono usati per il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (Adhd). In realtà sono assunti anche dagli appassionati di nootropi, sostanze chimiche che servirebbero a potenziare l’attività del cervello. Studenti e lavoratori di vari settori, tra cui quello tecnologico e quello finanziario, li prendono sperando di rafforzare la concentrazione e la produttività. Ma secondo un nuovo studio non è una buona idea: a quanto pare, questi farmaci riducono leggermente la capacità di risolvere i problemi.
Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori coordinato dall’economista Peter Bossaerts dell’università di Cambridge, nel Regno Unito, e pubblicato il 14 giugno su Science Advances. Analizza il modo in cui l’Adderall, il Ritalin e un altro stimolante chiamato modafinil (Provigil) hanno inciso sulla capacità di quaranta individui sani di eseguire il problema dello zaino, un esercizio in cui bisogna decidere con quali oggetti riempirlo. Lo scopo è ottimizzare il valore del contenuto senza superare la portata del contenitore. I ricercatori hanno effettuato test di varie difficoltà, modificando il limite di peso e l’elenco degli oggetti.
Nell’arco di quattro giorni i volontari hanno ricevuto uno dei tre farmaci o un placebo. Dato che l’esperimento era in doppio cieco, né chi riceveva lo stimolante né chi lo somministrava era a conoscenza di quale sostanza si trattasse. Al termine dello studio è emerso che la capacità di risolvere il problema dopo l’assunzione di un farmaco era leggermente inferiore. Senza compromettere la capacità di arrivare a una soluzione ottimale, che i volontari hanno raggiunto in circa metà dei casi, i farmaci hanno prodotto un lieve calo nel valore degli zaini.
Il doppio del tempo
I ricercatori sono rimasti colpiti da come i volontari che avevano assunto l’Adderall e il Ritalin, ma non il Provigil, hanno modificato l’approccio al problema. Impiegavano più tempo rispetto a quando avevano assunto il placebo (i minuti a disposizione per ogni test erano quattro, ma chi pensava di aver trovato una buona soluzione poteva fermarsi prima). In particolare, con il Ritalin impiegavano il doppio del tempo, un ritardo simile a quello previsto per il passaggio dal test più facile al più difficile in caso di assunzione di un placebo.
Nel tempo aggiuntivo i volontari mettevano e toglievano gli oggetti dallo zaino in maniera incoerente. Gli scienziati hanno analizzato la produttività di ogni gesto misurando di quanto aumentasse il valore dello zaino, scoprendo che con l’assunzione di uno dei farmaci i volontari sono stati meno produttivi del 9 per cento. “Era come se volessero risolvere un puzzle mettendo le tessere a caso”, dice Bossaerts.
I farmaci aiutavano i partecipanti a impegnarsi di più, ma lo sforzo era vanificato da una qualità peggiore. L’incidenza dei medicinali sulla prestazione sembrava dipendere dalla capacità dei volontari in assenza di farmaci: i migliori con il placebo sono risultati i meno bravi con lo stimolante.
Nei settori dell’informatica e della finanza l’uso di queste sostanze è molto comune. Da un’indagine condotta su 6.500 studenti universitari statunitensi è emerso che il 14 per cento ha usato questi farmaci per motivi non medici. Il nuovo studio si aggiunge a un numero crescente di prove secondo cui questi farmaci non aumentano le capacità cognitive di persone in buona salute. Per i datori di lavoro in cerca di dipendenti efficienti e per i dipendenti che non vorrebbero fare troppo tardi in ufficio, la carenza di stimolanti è quindi una buona notizia. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati