Nel 1977 Larry Sultan aveva 31 anni e con il fotografo Mike Mandel pubblicò Evidence. Un libro che raccoglie 59 fotografie selezionate tra le migliaia contenute negli archivi del dipartimento di polizia di Los Angeles, del Jet propulsion laboratory della Nasa, del dipartimento dell’interno statunitense, dello Stanford research institute, in California, e di un centinaio di altre società, agenzie governative ed enti educativi, medici e tecnici americani. Erano immagini con una funzione pratica, che i due artisti avevano scelto, privilegiando il criterio estetico, per ragionare sul passaggio, o la distanza, tra documento e opera d’arte. Mettendo da parte il punto di vista tecnico, modificandone il contesto di lettura, ne cambiavano la percezione e il significato.

Una scatola di astuzie

Questa scelta concettuale, che dialogava con gli esordi del movimento di appropriazione delle immagini e con la riflessione sulla natura del mezzo fotografico, fu subito accolta con grande interesse. Il New York Times definì Evidence “una svolta nella storia della fotografia d’arte”. E Martin Parr nel volume The photobook: a history ne ha parlato come di “uno dei libri fotografici più belli, più densi e più straordinari. Una scatola visiva di astuzie infinite”. Oggi l’edizione originale di Evidence ha raggiunto prezzi stratosferici e la riedizione del 2004 è quasi introvabile.

Alla fine degli anni settanta furono altre immagini di uso pratico a spingere Sultan a realizzare una nuova serie, molto diversa da quelle che lo avrebbero reso famoso. Erano foto in bianco e nero stampate su un manuale di nuoto della Croce rossa. Ispirandosi a quelle immagini Sultan cominciò a fotografare le persone che imparavano a nuotare nelle piscine pubbliche di San Francisco, in California. “Volevo fare qualcosa di completamente diverso, di fisico, e in un certo senso vagamente sgraziato. Così sono andato a scattare foto sott’acqua in diverse piscine”, raccontò il fotografo.

Con un’attrezzatura subacquea e una piccola macchina dotata di un flash portatile, Sultan realizzò quella che definì “un’impresa mitica sull’acqua, sulla natura e su tutte queste cose”. Nel 1974 interruppe il progetto per dedicarsi con Mike Mandel a una serie di opere d’arte pubblica concettuali, tra cui alcune esposte su grandi cartelloni pubblicitari.

Poi tra il 1978 e il 1982 si dedicò più assiduamente al progetto sulle piscine, che intitolò Swimmers: “All’epoca pensavo che gran parte della mia attività artistica fosse separata dal mio corpo. Volevo quindi realizzare delle immagini estremamente fisiche, sensuali, pittoriche”, spiegava Sultan. “Quando ero giovane, vivevo vicino alla piscina dello Sherman oaks war memorial ed ero terrorizzato dall’acqua, soprattutto da quella profonda. A dodici anni ho rischiato di annegare. L’acqua è uno degli elementi della natura che non possiamo controllare, qualcosa che sembra travolgerci quando ci entriamo dentro”.

Laureato in scienze politiche all’università della California e al San Francisco art institute, Sultan conosceva perfettamente la storia dell’arte e della fotografia. Per questo lavoro si era ispirato, tra le altre, alla famosa immagine del Nuotatore sott’acqua, scattata dal fotografo ungherese André Kertész nel 1917. Poi citava il cortometraggio Taris di Jean Vigo, del 1931, dedicato a un grande nuotatore, come uno dei suoi film preferiti, che lo aveva profondamente influenzato: “È un capolavoro di realismo magico. Quella che avrebbe potuto essere semplicemente la rappresentazione di un grande atleta, grazie a Vigo diventa una meditazione ossessiva su un corpo bianco, in un’acqua nera come l’inchiostro. Le scene girate sott’acqua sono così piene di grazia e così strane da togliere il fiato”.

Una stranezza che ritroviamo anche nelle fotografie a colori di Sultan: corpi deformati, che si mescolano tra loro fino a diventare quasi spaventosi o che ci sollecitano con la loro forte carica sensuale, quando, senza volto, si esibiscono in uno strano balletto, creando un universo di grande complessità. Da un’immagine all’altra l’inquadratura cambia, l’atmosfera si trasforma, a volte fredda a volte calda, tra liquido amniotico, mondo delle origini, esseri umani in cerca del loro posto in un mondo che non sembra appartenergli. L’artista si diverte a giocare con i colori, a comporre delle visioni pittoriche di questo universo sottomarino. Al tempo stesso accetta le contraddizioni che possono attraversare questa sequenza ludica. È un lavoro molto lontano da quelli che Sultan realizzò in seguito e che lo resero famoso, come Pictures from home, un progetto sui suoi genitori scattato tra il 1982 e il 1992, o The valley, in cui fotografò una serie di case usate dall’industria del porno nella San Fernando Valley, in California.

“Per me l’ambiguità è fondamentale. Una parte della difficoltà incontrata dai fotografi è che nel corso del tempo quasi tutti i soggetti accumulano una storia di rappresentazioni, e quindi trovare un nuovo spazio narrativo è una vera sfida. Se dimostro di sapere troppo, se il racconto è costruito troppo bene, faccio delle immagini illustrative e senza interesse sia per l’artista sia per chi le guarda”.

Le prime mostre dedicate a Swimmers non furono accolte molto bene dalla critica. Chi aveva amato Evidence trovava queste immagini barocche, decorative, non rendendosi conto invece del fatto che affrontano la questione del colore ed esplorano il tema del tempo all’interno di uno spazio circoscritto. I critici si erano espressi così: “Pensavamo che Sultan fosse un autore concettuale, invece è solo un espressionista”. Un giudizio che era stato rivolto anche a David Hockney riguardo alla sua opera Robert Littman floating in my pool del 1982, lo stesso periodo in cui Sultan completava il suo lavoro sui nuotatori.

Sono state anche queste critiche a far riflettere Sultan sul linguaggio della fotografia: “È un processo di scoperta. Una parte di questo processo è legato a una questione formale: a cosa assomiglia o deve assomigliare un’immagine? Che cos’è interessante? A volte la scoperta c’è. Non sempre sono immagini belle, all’inizio possiamo trovarle maldestre o meravigliosamente semplici, ma in un secondo momento esplodono. La detonazione non è necessariamente immediata, sono immagini che lavorano su di noi. Una parte di quello che spero di fare, e che faccio in quanto artista, è che non scopro solo delle cose per me stesso, ma anche per gli altri. Pensiamo a John Cage, al rapporto tra il rumore e il suono, tra la banalità e il dramma o il teatro. In questo contesto mostrare la banalità, l’elemento ordinario, il quotidiano è entusiasmante. In un certo senso è questo l’oggetto del mio lavoro: uno spazio ambiguo, che ancora non somiglia all’arte”. ◆ adr

Da sapere
Il libro

◆ Il libro Swimmers (2023) è pubblicato dalla casa editrice Mack. Il volume contiene tutte le immagini della serie che il fotografo statunitense Larry Sultan (1946-2009) ha pubblicato ed esposto, e altre inedite che sono state selezionate dal suo archivio.


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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati