È il 1947 e l’Italia è appena uscita da cinque anni di guerra. Il paese è in rovina. Ci sono più di due milioni di disoccupati e l’inflazione è alle stelle. A Napoli alcuni vivono in caverne di tufo; nella valle del Po, in capanne infestate dalle zanzare, che portano la malaria. Tutto è ancora razionato, soprattutto la carta. Eppure dei geniacci capiscono che l’Italia, più di ogni altra cosa, ha bisogno di sognare e inventano il fotoromanzo.
A poche settimane di distanza l’una dall’altra, le riviste Il mio sogno e Bolero film pubblicano i primissimi fotoromanzi. Il mio sogno è opera del giornalista Stefano Reda, mentre Bolero film è un prodotto dell’editore Mondadori. Il suo direttore, Luciano Pedrocchi, rivendica la paternità di quello che all’epoca è considerato un neologismo: la parola “fotoromanzo”, che compare sulla copertina del primo numero di Bolero film.
Secondo lo scrittore Guido Conti, il vero inventore del fotoromanzo è in realtà Cesare Zavattini. Per la rivista Il Milione, che dirigeva già tra il 1938 e il 1939, lo sceneggiatore di Sciuscià aveva inventato la rubrica Una giornata con…, un racconto che univa testo e foto per descrivere la giornata in compagnia di un attore o trascorsa in un’emittente radiofonica, creando così un nuovo procedimento narrativo, ripreso poi dal fotoromanzo.
Il successo del fotoromanzo è immediato. Le riviste vendono sogni in bianco e nero a 50 lire e sono stampate in milioni di copie. Anche il giovane regista Michelangelo Antonioni si appassiona a questo nuovo fenomeno sociale e nel 1949 lo racconta in un documentario: L’amorosa menzogna. Cinepresa in spalla, filma le tipografie, due attori già diventati star (Anna Vita e Sergio Raimondi), il lavoro nella camera oscura e, soprattutto, dà la parola alle lettrici, attraverso le lettere infuocate o disperate che mandano alla loro rivista preferita.
Non solo storielle
Ma per gli intellettuali il fotoromanzo è una sottoletteratura disprezzabile, se non pericolosa. “La vera vita è quella del sogno, ma a volte il sogno è un baratro fatale”, sospira Wanda, la “bambola appassionata” dello Sceicco bianco di Federico Fellini, dopo aver respinto le pesanti avances di un attore di fotoromanzi con tanto di turbante in testa (Alberto Sordi).
Per i cattolici, il fotoromanzo è immorale, perché ci si bacia fuori dal matrimonio e perché le donne abbandonano il tetto coniugale, quando ancora per la legge italiana (e fino al 1968) l’adulterio femminile è punibile con il carcere. Nel 1959, nella sua enciclica Ad Petri cathedram, papa Giovanni XXIII mette in guardia il suo gregge contro “quei libri e giornali che si stampano per irridere la virtù e coonestare il vizio”.
Quanto ai comunisti, ci vedono un nuovo oppio dei popoli, ostacolo alla lotta di classe e alla rivoluzione socialista. Al contrario del cinema neorealista, altra invenzione italiana della stessa epoca, infatti il fotoromanzo si guarda bene dal denunciare le condizioni sociali e politiche dell’epoca. “Non ci si ribella mai nel fotoromanzo”, osserva lo storico francese Serge Saint-Michel nel libro Le roman-photo (Larousse 1979).
Si potrebbe far notare ai suoi detrattori che il fotoromanzo ha sicuramente contribuito all’educazione delle classi popolari, in particolare delle donne. Nel 1951 il tasso di analfabetismo in Italia è del 12,9 per cento. Al sud arriva al 28 per cento. L’unità linguistica del paese è lontana: il 13 per cento della popolazione parla solo in dialetto. Non ci sono statistiche sul tema ma, grazie a diverse testimonianze, sappiamo che molte donne hanno imparato a leggere proprio grazie ai fotoromanzi. Nei libri di Elena Ferrante o Pier Paolo Pasolini, le ragazze leggono Grand Hôtel, Tipo o Bolero.
Ai nostri occhi queste storielle sentimentali non sembrano giustificare simili bordate di violenza e di sarcasmo. La spiegazione può essere forse trovata nell’opera di Pierre Bourdieu intitolata La distinzione (Il Mulino 1983), che dimostra come “il gusto classifica, e classifica colui che classifica. E non a caso, quando [i gusti] debbono giustificarsi, si affermano in forma tutta negativa, attraverso il rifiuto opposto a gusti diversi: in materia di gusti, più che in qualsiasi altra, ogni determinazione è negazione; e indubbiamente i gusti sono innanzitutto dei disgusti, fatti di orrore o di intolleranza viscerale (‘fa vomitare’) per gli altri gusti, cioè per i gusti degli altri”.
Il fotoromanzo è un passatempo destinato alle classi popolari, che rivendica di esserlo. Ma è anche un formidabile sismografo sociale che racconta gli albori della società dei consumi, del boom economico, dell’emancipazione femminile, della società dello spettacolo. È l’epoca in cui emerge la classe media, e il fotoromanzo riflette i sogni di ascesa sociale divenuta ormai possibile, in particolare grazie all’amore.
L’uso della fotografia, che rende il fotoromanzo moderno e spiega il suo incredibile successo editoriale, dà forma a questi destini individuali, ancorandoli a un presente molto concreto, abitato da tutti i nuovi volti della felicità: l’automobile, la televisione, il frigorifero, il juke-box, la pelliccia. ◆pda
◆ La mostra Ambiziosamente tua – Amore e classi sociali nel fotoromanzo è esposta al festival di fotografia Cortona on the move fino al 1 ottobre 2023. Curata da Frédérique Deschamps e Paolo Woods, comprende anche la proiezione del documentario L’amorosa menzogna di Michelangelo Antonioni. Il festival propone eventi, incontri e ventisei mostre di fotografia nella cittadina toscana, tra cui quella dello statunitense Larry Fink, quella dell’argentina Irina Werning e la collettiva Get rich or die tryin’ sulla storia del rap.
Carmen Abd Ali è una fotografa francese nata nel 1994.
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Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati