In copertina c’è la foto di un giovane, spontaneo Lorin Maazel, quello dei tre Romeo e Giulietta del 1957 con i Berliner Philharmoniker (Berlioz, Čajkovskij, Prokofev), che furono il suo debutto per la Deutsche Grammophon, quando aveva solo 27 anni. Poi sarebbero arrivati un De Falla incandescente, Schubert e Mendelssohn luminosi, un Chant du rossignol di Stravinskij e un Capriccio espagnol di Rimskij-Korsakov sfavillanti, una terza sinfonia e un’Ouverture tragica di Brahms tese e cupe. Per non parlare dell’Enfant et les sortilèges e dell’Heure espagnole di Ravel, con un’orchestra della radio francese immersa nel suo ambiente preferito. Dopo una pausa, nel 1970 ci fu una bellissima Luisa Miller (Ricciarelli, Domingo, Bruson). E nel 1985 una languida Shéhérazade. Con gli anni la direzione di Lorin Maazel si è fatta molto più pesante, con una forte passione per i contrasti espressivi e agogici che ogni tanto diventa un po’ compiaciuta. È comunque bellissimo ritrovare un Harold en Italie dai colori superbi, dei Rachmaninov dai chiaroscuri malinconici e un Concerto per orchestra di Bartók fiammeggiante. Tutte dimostrazioni del fatto che il Maazel degli anni 1970-1980 non era solo un virtuoso superficiale.
Didier Van Moere, Diapason

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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati