Un fascino degno della nouvelle vague vibra in questo film senza tempo ma tipicamente francese: un triangolo amoroso nella Parigi dei café e degli artisti a cui il regista newyorchese Ira Sachs dà un tocco particolare. Appassionato dei tumulti capaci di trasformare ogni cosa, nell’intimità come nella società, si appropria di questa materia tormentata con paradossale concisione e una serena tenerezza. Già si era visto in Frankie (2019), ma l’esercizio risulta ancora più riuscito in questa storia di un matrimonio omosessuale in cui una donna semina disordine. Tra la parigina Agathe (Adèle Exarchopoulos) e il britannico Martin (Ben Whishaw) nasce una rivalità a distanza per il regista tedesco Tomas (Franz Rogowski). Ma al di là della gelosia, c’è qualcos’altro che fa salire la tensione. Con un’autorità sorniona Tomas attribuisce i ruoli che vuol far interpretare alle persone che ama, come fossero dei personaggi. Agathe sarà il desiderio e la possibile madre per un eventuale figlio di una coppia che non potrebbe averne. Un’amante utile. Martin sarà il fratello, il compagno di giochi, a volte l’amante, il complice manipolato. Ma la vita non è un copione. Su un fondo che ha una certa durezza pessimistica, Sachs infonde una saggezza consolatoria e si specchia in Tomas, un uomo dal potere distruttivo ma anche un sincero utopista che vuole condividere il suo sogno, fuori dalla realtà. Ci attacchiamo a tutti e tre i personaggi, che ci toccano con la sincerità dei loro desideri e delle loro emozioni, messe a nudo anche dalla precisione di tre magnifici interpreti. Frédéric Strauss,Télérama
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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati