Possiamo ancora contare sugli Stati Uniti? La domanda è legittima dopo aver assistito allo spettacolo, a metà tra commedia e tragedia, che il 3 ottobre ha portato alla destituzione del repubblicano Kevin McCarthy da speaker della camera (la terza carica dello stato). McCarthy è stato estromesso dalla fazione di estrema destra del suo partito. Ha finito per essere divorato dalla tigre che pensava di poter cavalcare. Ma in ballo c’è molto di più del suo futuro politico: c’è la tenuta istituzionale della prima potenza mondiale e la capacità di Washington di aiutare l’Ucraina a resistere all’aggressione russa.
La vicenda mostra che il Partito repubblicano si è trasformato in una forza del disordine, sottomesso al volere dell’ex presidente Donald Trump, che è finito spalle al muro a causa di una serie di procedimenti giudiziari. Compromessi dal tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020, i leader repubblicani si sono rivelati incapaci – a cominciare da McCarthy – di rompere il legame con Trump. Il loro servilismo alla fine non ha pagato. Oggi l’ex presidente ostacola il partito disertando i dibattiti tv delle primarie e insultando i suoi avversari. Immaginiamo che agghiacciante struttura di potere potrebbe mettere in piedi se dovesse vincere le elezioni presidenziali del 2024.
La crisi dei repubblicani è il frutto di una serie di storture del meccanismo democratico, a cominciare dalle primarie dei partiti, che coinvolgono solo un elettore su cinque e quindi favoriscono i candidati radicali. Oggi gli Stati Uniti sono spaccati in due blocchi in disaccordo su tutto: in questa situazione i compromessi politici sono inaccettabili.
Il cumulo di macerie in cui si è trasformata la camera dei rappresentanti preoccupa inevitabilmente gli alleati degli Stati Uniti e fa esultare i loro avversari, che oggi possono contare sulla cecità di quei deputati repubblicani convinti di essere dei patrioti. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati