Fair play non è il thriller erotico disperatamente cercato dall’algoritmo di Netflix. C’è sesso, certo, e anche un duello psicologico. Ma zero desiderio perverso. È un film sgradevole e questo non è un difetto. Fair play parla di quel tipo di uomo con cui molte donne hanno avuto a che fare, che sembra perfetto e sta al loro fianco finché ha il controllo della situazione. E parla anche di quel tipo di donna che molte temono di diventare, che si rendono conto troppo tardi di essersi illuse. Emily (Phoebe Dynevor) e Luke (Alden Ehrenreich) sono colleghi in un fondo d’investimento di New York e hanno poco saggiamente mescolato lavoro e amore. La loro relazione va contro la politica aziendale e così la tengono segreta. Quando un dirigente viene licenziato, si aspettano che Luke sia promosso, invece il posto va a Emily. Lui sembra contento, ma un’ombra passa sui suoi occhi. Domont, che ha scritto anche la sceneggiatura, ha trovato un bel modo per destabilizzare il pubblico. Luke è pessimo ed Ehrenreich lo rende molto credibile. Ma, nella visione della regista, anche Emily dev’essere un po’ mostruosa. E l’orribile mondo della finanza è ritratto in modo realistico.
Clarisse Loughrey, Independent
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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati