La prima volta che si ascoltano le canzoni di Marina Herlop potrebbero risultare incomprensibili. Il canto arriva da un posto lontano, oltre il linguaggio; le armonie e i ritmi tortuosi disorientano. I suoi pezzi sono ispirati dall’avanguardia del novecento e dal folk antico ma sembrano anche galassie aliene. Dopo una prolungata esposizione, tuttavia, questi suoni non solo diventano familiari ma addirittura naturali. La confusione è stata raramente così attraente. I brani del nuovo disco non sono distanti dal precedente Pripyat ma sono più efficaci e ambiziosi. Da grande affabulatrice qual è, l’artista catalana fa un salto in avanti nella scrittura e nella composizione. Il tema portante dell’album è legato, vagamente, al giardinaggio; un’idea riconducibile al bisogno di nutrimento e cura di una creatività in crisi e anche a quello di fare pace con cosa sfugge al nostro controllo. Nekkuja comincia con il verso “Damunt de tu només les flors” (sopra di te solo fiori), preso in prestito dall’amato compositore Frederic Mompou, che Herlop trasforma in una poesia di realismo magico sul parto e la storia. Questo suo mondo bizantino converge in Reina mora, dove i ticchettii sul legno e i battiti di mani sono infilati in una furia ritmica controllata. La parabola sulla semina e sul raccolto alla base di Nekkuja trova un senso nell’estasi finale.
Philip Sherburne, Pitchfork

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati