Il nuovo film di Hayao Miyazaki ha tutte le caratteristiche delle opere tardive dei grandi maestri: non ha niente da dimostrare e punta all’essenza. A Tokyo, nel 1944, Mahito, undici anni, perde la madre durante un bombardamento. Si trasferisce con il padre nella tenuta di proprietà della famiglia materna. Il ragazzo fatica ad ambientarsi e si isola. Finché un misterioso airone lo attira verso una torre abbandonata che conduce a un mondo capovolto, da cui si diramano i corridoi dello spazio tempo e dove Mahito spera di ritrovare la madre. Un’odissea simile a un ritorno alla matrice, quasi intrauterina. Potremmo avere a che fare con il significato più alto dell’animazione (e per estensione dell’animismo): cogliere in ogni cosa l’impulso primigenio.
Mathieu Macheret, Le Monde

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati