Un certo spirito di dislocazione attraversa il terzo album di Montañera, il cui vero nome è María Mónica Gutiérrez. Culture e stili musicali disparati si scontrano uno con l’altro e l’interesse sta proprio nel modo in cui alla fine s’intrecciano. Dopotutto A flor de piel rappresenta una risposta al trasferimento a Londra della cantante cresciuta a Bogotà, in Colombia. E descrive quei sentimenti di nostalgia di casa, shock culturale e difficoltà nel ricominciare da capo che accompagnano l’adattamento a una nuova città. Non è un disco particolarmente triste, o almeno non in modo esplicito. È più un esame dei sentimenti attraverso lenti diverse: il motivo di Vestigios, per esempio, viene prima cantato delicatamente e poi riecheggiato con una poderosa melodia di sintetizzatore per accentuare il contrasto. Altrove parti vocali sincere sono abbinate a sintetizzatori gelidi e astratti (Me suelto al riesgo) che amplificano ancora di più il senso di dissociazione. L’effetto è originale e intrigante, e ricorda le più recenti canzoni folk digitali di Björk per il modo di saldare tradizionalismo ed elettronica glitch e decadente. In alcuni momenti, però, A flor de piel risulta troppo opaco, stilisticamente ed emotivamente. A tratti commuove, a tratti suona quasi intangibile.
Sam Walton, Loud and Quiet
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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati