Negli anni sessanta la soggettività era la ragion d’essere della musica pop. Anche la negatività. Negli anni novanta si è passati al cinismo, al disprezzo per se stessi e alla misantropia. Oggi le prese di posizione politiche ed estetiche sono viste solo come strutture. Se un tempo la ribellione era una forza unificatrice, ora il solipsismo regna incontrastato, contribuendo a una società sempre più frammentata. Dopo una serie di ep e singoli, gli Sprints, band irlandese capitanata dalla cantante e polistrumentista Karla Chubb, hanno pubblicato il loro primo album. Alla voce incendiaria e vulnerabile gli strumenti rispondono con eruzioni ritmiche cacofoniche che rivelano trame distorte. Tutto il progetto, nonostante la sua sfrontatezza, mantiene un sottile controllo, soprattutto nelle parti di Chubb, tra l’istrionico e il confessionale, senza cadere mai nel melodramma. Gli anni venti di questo millennio appaiono bipolari: gli artisti sembrano vacillare tra ambizione e rassegnazione, tra l’esaltazione del sé e la sua cancellazione. Gli Sprints si uniscono a questa schiera, esplorando un terreno fatto di dissonanze esistenziali. Cercano, e a volte trovano, una visione tutta loro.
John Amen, Beats Per Minute
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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati