I giganti del petrolio devono affrontare un minuscolo nemico nelle strade dell’Asia e dell’Africa. I rumorosi e inquinanti veicoli a due o tre ruote che ogni giorno portano in giro miliardi di persone stanno silenziosamente passando ai motori elettrici, riducendo la domanda mondiale di petrolio di un milione di barili al giorno nel 2023.
In Kenya e in Ruanda decine di startup fanno a gara per sostituire i mototaxi a benzina con quelli a batteria. In India più della metà dei mezzi a tre ruote venduti e immatricolati l’anno scorso erano alimentati a batterie. Anche Indonesia e Thailandia incoraggiano il passaggio dei mototaxi all’elettrico.
Il mercato è dominato dalla Cina, dove da decenni il governo promuove l’uso di veicoli elettrici per ripulire le città soffocate dallo smog, e questo spiega perché la stragrande maggioranza delle moto e delle bici elettriche del mondo circola sulle strade cinesi.
Nel complesso il passaggio a questi mezzi di trasporto ha fatto calare la domanda globale di petrolio di 1,8 milioni di barili al giorno nel 2023, come mostrano i dati di BloombergNef, la divisione di ricerca del gruppo fondato da Michael Bloomberg. La riduzione è dovuta per il 60 per cento (1,08 milioni di barili) ai veicoli a due o tre ruote elettrici.
Secondo alcune stime, l’anno scorso le auto e i mezzi elettrici più piccoli hanno abbassato la domanda complessiva di petrolio solo del 4 per cento. Ma la loro diffusione è cruciale per la transizione energetica perché i trasporti sono responsabili del 20 per cento circa delle emissioni di gas serra. Tra tutti i cambiamenti che gli stati stanno mettendo in atto per rallentare il riscaldamento del pianeta, le vendite di veicoli elettrici sono l’unico in linea con gli obiettivi sul clima, come affermano i risultati di uno studio indipendente. Inoltre questi mezzi aiutano a risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico, a cui l’Organizzazione mondiale della sanità riconduce sette milioni di morti premature all’anno.
In Europa e negli Stati Uniti è difficile rendersi conto della transizione: anche se le bici e gli scooter elettrici sono piuttosto diffusi, l’attenzione si concentra soprattutto sulle auto. Invece, nel resto del mondo, la maggioranza delle persone non usa le quattro ruote per spostarsi.
A Nairobi, in Kenya, e ad Hanoi, in Vietnam, le moto fanno da taxi. A Mumbai, in India, gli scooter possono trasportare famiglie di quattro persone. In Cina milioni di pendolari usano le bici elettriche.
“Le moto elettriche sono più silenziose, efficienti e rispettano l’ambiente”, dichiara Jesse Forrester, fondatore della Mazi Mobility, un’azienda che ha messo in circolazione sessanta mototaxi elettrici, chiamati boda-boda, nelle strade della capitale keniana. “Oggi nel nostro paese è in corso una rivoluzione silenziosa, che ci porterà verso il futuro”. L’azienda di Forrester è una delle tante che stanno contribuendo a creare un ecosistema di veicoli elettrici vendendo o assemblando moto importate, installando postazioni di ricarica e collaborando con le banche per offrire prestiti a condizioni vantaggiose.
In altre parti del mondo produttori affermati stanno facendo uscire nuovi modelli a batteria, come l’azienda indiana Hero MotoCorp, che ha messo in vendita uno scooter elettrico a meno di 1.800 dollari. Nel settore si affacciano anche i servizi di ride-sharing come Ola, anche questo con sede in India. Di recente la giapponese Honda ha dichiarato di voler fare investimenti per 3,4 miliardi di dollari, con l’obiettivo di vendere, da oggi al 2030, quattro milioni di moto elettriche all’anno. L’ostacolo più grande per la diffusione di questi veicoli sono le politiche dei governi. Il Messico, per esempio, sovvenziona la benzina ma non le batterie, e per questo ci sono pochi veicoli elettrici a due o tre ruote. Secondo Karla Ramírez, che vende moto a Città del Messico, sono un “prodotto di nicchia”.
Batterie negli armadietti
A un distributore di benzina lungo un’autostrada vicino a Nairobi, una squadra dell’Arc Ride, una delle principali startup che puntano sui boda-boda elettrici, sta installando una struttura fatta di armadietti nuovi di zecca che si aprono con un’app sul cellulare. Il sistema funziona così: si lascia una batteria al litio scarica in un armadietto vuoto, se ne prende un’altra carica e si continua a viaggiare per almeno novanta chilometri, quanto basta a un conducente di mototaxi per coprire una giornata di lavoro.
L’Arc Ride ha creato 72 stazioni di scambio per le batterie a Nairobi e intende aprirne altre venticinque nei prossimi mesi, una ogni due chilometri lungo le strade più trafficate della città. “Vogliamo arrivare al trasporto elettrico di massa”, dice Felix Saro-Wiwa, responsabile per la crescita sostenibile dell’azienda. La storia della famiglia di Saro-Wiwa è legata a tutto questo. Suo nonno, Ken Saro-Wiwa, fu un attivista per i diritti umani che attirò l’attenzione della comunità internazionale sui danni sociali e ambientali causati dall’estrazione di petrolio in Nigeria. Per questo nel 1995 fu messo a morte dal governo militare.
Oggi in Kenya ci sono 1.500 boda-boda elettrici su 1,3 milioni di veicoli a due ruote in circolazione. Il paese, però, è in una fase critica della sua transizione energetica. I prezzi dei carburanti sono saliti alle stelle dopo l’invasione russa dell’Ucraina e dopo che nel settembre 2022 il governo keniano ha eliminato i sussidi sulla benzina. Questa decisione ha causato un aumento del costo della vita, innescando ampie, e a tratti violente, proteste antigovernative. Ma ha anche fornito un’opportunità ai sostenitori della mobilità alternativa. I veicoli a batteria sono più economici da gestire, anche se costano circa il 5 per cento in più rispetto ai modelli a benzina.
I venditori di boda-boda come la Mazi Mobility e l’Arc Ride collaborano con le banche per offrire prestiti a interessi bassi, l’unico modo per i motociclisti keniani di acquistare un modello elettrico. Uber sta testando Nairobi come prima città africana dove sarà possibile prenotare una corsa su due ruote. Il presidente keniano William Ruto ha stabilito l’obiettivo di duecentomila moto elettriche nel paese entro il 2025.
Tuttavia, restano molti ostacoli. L’elettricità costa. Il governo ha esentato i venditori di moto elettriche dai dazi d’importazione con una misura che, però, dev’essere approvata di anno in anno, cosa che rende difficile per le aziende fare progetti a lungo termine. Per importare i pezzi di ricambio le pratiche burocratiche sono estenuanti. E la svalutazione della moneta locale non aiuta.
I veicoli delle diverse start up funzionano con batterie e sistemi operativi che non sono compatibili tra loro, e questo ne ostacola la diffusione. Ma Saro-Wiwa è convinto che presto l’elettrico decollerà. “È il futuro dei trasporti in Kenya”, dichiara.
Dipende dal prezzo
Shankar Rai è all’avanguardia nella transizione all’elettrico in India. Ha 45 anni, tre figli, e guida un risciò a batteria per nove ore al giorno, sei giorni alla settimana, a Darbhanga, una città indiana piuttosto povera, vicino al Nepal. Guadagna circa mille rupie (11 euro) al giorno e ne dà quasi la metà a un amico, che è il proprietario del risciò e lo ricarica di notte. Il resto lo spende per mangiare e mandare a scuola i figli.
“Siamo poveri, ci arrangiamo per sopravvivere”, dice Rai.
Rai partecipa a un’iniziativa costata 1,2 miliardi di dollari e lanciata dal governo indiano per fare in modo che entro il 2030 il 30 per cento dei veicoli in circolazione funzioni a batteria.
La maggior parte di questi soldi va ai concessionari, che favoriscono l’acquisto di risciò elettrici abbassando i prezzi.
A Darbhanga un risciò nuovo come quello guidato da Rai costa la metà di uno a gas
A Darbhanga un risciò nuovo come quello guidato da Rai, dotato di una batteria al piombo acido, costa circa 175mila rupie, cioè 1.900 euro. È la metà del prezzo di uno nuovo alimentato a metano. Ricaricare la batteria costa 20 rupie (22 centesimi di euro), un quarto di un pieno di metano.
Gli sconti sembrano aver avuto l’effetto desiderato. La Reliance Industries, la più grande azienda indiana, sta convertendo all’elettrico i suoi veicoli commerciali a tre ruote. I servizi per le consegne di prodotti alimentari stanno rapidamente facendo lo stesso.
Chetan Maini, che con la sua azienda Sun Mobility costruisce colonnine per la ricarica, sostiene che il settore sta crescendo in fretta. I prezzi delle batterie scendono e questo contribuisce a ridurre il costo delle moto e dei risciò.
“A un certo punto”, prevede Maini, “l’effetto sarà parecchio rapido, perché questo mercato dipende molto dai prezzi”. Secondo il concessionario Balaji Motors, a Darbhanga si vendono circa duecento risciò elettrici al mese. Tra due anni, stima un responsabile delle vendite, domineranno le strade.
Per gli standard indiani Darbhanga, che ha trecentomila abitanti, potrebbe essere definita una città sonnacchiosa. In realtà è parecchio caotica. Gli altoparlanti dei templi diffondono musica e quelli dei chioschi all’aperto pubblicità. I clacson suonano, i motori strombazzano.
In questo paesaggio sonoro il ronzio del risciò elettrico di Rai è una rarità, apprezzata dai clienti. L’insegnante in pensione Satyen Vir Jha, 65 anni, ha scelto il veicolo di Rai non solo perché è più silenzioso, ma anche perché offre un viaggio più piacevole, con meno scossoni, che gli dà meno fastidio alla schiena. “Gli altri veicoli peggiorano il mio problema”, spiega. “Questo no”. Per stare più tranquillo, comunque, indossa una fascia per l’ernia.
Jha è felice di sentirsi dalla parte giusta della storia: “Se tutti i vecchi risciò in circolazione fossero sostituiti con questi, avremmo meno incidenti e meno inquinamento”.
I dubbi dei clienti
I palloncini e la musica reggaeton conferiscono un’atmosfera di festa permanente alla concessionaria di moto di Karla Ramírez, nell’elegante quartiere Polanco di Città del Messico. Fra le trenta moto in offerta spicca un modello elettrico, una moto grigia e bianca chiamata Voltium Gravity.
Qualche giorno prima, un venerdì, Ramírez ha mostrato la Voltium a José Antonio Palmares, un cliente magro e dall’aria seria. “È un concetto completamente diverso”, gli ha spiegato. “Non va a benzina e non inquina. Può farci un giro gratis”.
Palmares ha detto che la moto gli piaceva “per l’ambiente”. Ma poi è stato assalito da un dubbio: “Nel mio quartiere ci sono molte colline”, ha detto, “quindi ho bisogno di potenza e di peso”. Ramírez, da esperta venditrice, l’ha portato alla postazione di ricarica, mostrandogli come poteva sostituire la batteria usando semplicemente una tessera magnetica. Lui ha alzato un sopracciglio. “E se la batteria si scarica mentre guido?”. Poi ha chiesto di vedere i modelli tradizionali.
Ramírez è abituata a queste perplessità. Ogni mese vende in media 55 moto, e solo una è elettrica. Non aiuta che il modello elettrico più economico costi di più di quelli a benzina. Secondo l’Associazione messicana dei produttori e degli importatori di motocicli, sugli 1,25 milioni di moto vendute nel 2022 solo mille erano alimentate a batteria.
Il governo messicano offre pochi incentivi per i veicoli elettrici. “Al nostro presidente”, si lamenta Ramírez, “il petrolio piace troppo”.
Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha bloccato gli sforzi per espandere le energie rinnovabili e per il futuro del suo paese ha puntato sui combustibili fossili, sostenendo la Petróleos Mexicanos, la compagnia petrolifera di stato. Il suo governo, come altri in America Latina, continua a sovvenzionare i carburanti tradizionali, oltre ai trasporti in autobus e in metropolitana.
Il prezzo è l’ostacolo più importante per gli appassionati di moto elettriche, tra cui c’è anche Karla Ramírez. Lei possiede una moto a benzina, ma sta pensando di prenderne una elettrica.
“Prima, però, devo mettere da parte i soldi”, dice. ◆ gim
Questo articolo è stato scritto da Somini Sengupta e Abdi Latif Dahir (da Nairobi, Kenya), Alex Tr a velli (da Darbhanga, India) e Clifford Krauss (da Città del Messico, Messico).
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Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati