Se c’è una cosa su cui i film di fantascienza sono d’accordo è che i robot devono somigliare agli esseri umani. E anche gli ingegneri sono attratti da quest’idea. Per Pras Velagapudi, direttore tecnico della Agility Robotics, l’aspetto umano è “garanzia di versatilità”, perché permette di adattarsi a una vasta gamma di compiti. Del resto le macchine devono operare in un ambiente creato in base alle esigenze umane.

Ora i robot umanoidi cominciano a funzionare nel mondo reale. Amazon sta testando Digit, un robot realizzato dalla Agility per aiutare i magazzinieri a svolgere mansioni ripetitive. Alto quasi due metri, Digit sposta i contenitori vuoti dagli scaffali ai nastri trasportatori. La Boston Dynamics, di proprietà della Hyundai, ha in programma di usare Atlas, il suo ultimo robot umanoide, nelle linee di produzione dell’azienda automobilistica sudcoreana.

Questi progetti sono ancora elementari, ma dimostrano i passi da gigante fatti dai robot umanoidi negli ultimi decenni. E gli investitori sono ottimisti. Secondo le stime di Cb Insights, dal 2020 le startup del settore hanno raccolto 2,3 miliardi di dollari e fanno concorrenza ad aziende più grandi come la Boston Dynamics, la Tesla e la cinese UbTech.

I robot sono ancora lontani dal sostituire gli esseri umani, eppure le potenzialità sono enormi. Idealmente un robot umanoide è progettato per somigliarci e agire come noi. L’aspetto, però, è importante quanto la funzione. Se un robot sembrasse troppo umano sarebbe inquietante. Ecco perché alcuni modelli, compresi Digit e Atlas, hanno una testa semplice di forma geometrica.

Per essere usati in maniera più diffusa devono anche uguagliare l’abilità e la versatilità degli esseri umani in contesti reali. La maggior parte dei video di robot che corrono o saltano è stata girata in situazioni controllate. Uno studio del 2023 ha messo a confronto le prestazioni di 27 robot umanoidi con quelle degli esseri umani, scoprendo che a livello funzionale i primi battevano i secondi. Ma anche se i robot sanno camminare, correre e salire le scale, misurando le stesse funzioni in relazione a dimensioni, peso e consumo di energia risulta che quasi nessun umanoide è in grado di uguagliare l’efficienza del corpo umano. Le macchine sono inoltre meno abili con le dita e le mani.

Oltre le gambe c’è di più

Alcune aziende cercano di superare questi limiti ampliando la definizione di umanoide. Apollo, sviluppato dalla Apptronik, ha un design modulare che consente di collegare al busto un paio di gambe, delle ruote o una base fissa a seconda del compito. La Sanctuary AI ha rinunciato del tutto all’andatura bipede. Secondo il suo direttore Geordie Rose, per quasi tutto quello che gli umani fanno oggi sono sufficienti il cervello e le mani. I robot dell’azienda possono essere alimentati via cavo, cosa che consente di usare motori e processori più potenti.

In ogni caso le aziende del settore devono vedersela tutte con il paradosso di Moravec, in base al quale compiti semplici per noi umani possono rivelarsi difficilissimi per le macchine. Il paradosso prende il nome da Hans Moravec, un esperto di robotica canadese secondo cui le macchine sanno risolvere con facilità problemi matematici e logici, ma faticano a riprodurre movimenti che anche un bambino di un anno sa eseguire. Rose cita come esempio il gesto di tenere in mano una tazza di caffè. Per un robot questo compito richiede un software di elaborazione visiva per individuare la tazza, un rigoroso addestramento sui movimenti necessari ad afferrarla e una consapevolezza in tempo reale sufficiente per adattarli ai cambiamenti dell’ambiente circostante.

Se oggi i robot più avanzati riescono a prendere una tazza senza difficoltà, l’intelligenza necessaria a funzionare senza supervisione in un contesto in rapida trasformazione resta fuori dalla loro portata. Ma le cose potrebbero cambiare. I progressi dell’intelligenza artificiale permettono alle macchine di interagire con noi e i nostri ambienti in modo sempre più sofisticato. Presto i robot in grado di agire come gli esseri umani potrebbero non essere più fantascienza. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 125. Compra questo numero | Abbonati