Il Regno Unito ha una grande tradizione di fotografia sociale che, anche grazie alla presenza di quotidiani di qualità e valide riviste settimanali, ha creato una “scuola” del genere documentario piuttosto unica. Uno dei migliori esempi recenti è quello di Chris Killip, morto nel 2020, che tra il 1973 e il 1985 ha raccontato gli anni di Margaret Thatcher e della deindustrializzazione nel nordest del paese, per poi occuparsi dell’isola di Man, dove è nato. Non molti sanno invece che Martin Parr, famoso oggi per le sue immagini surreali e dai colori vivaci, ha cominciato a scattare in bianco e nero su temi sociali seguendo le tracce di Tony Ray-Jones, morto a soli trent’anni e ancora un punto di riferimento per le nuove generazioni della fotografia britannica. Anche il grande fotoreporter di guerra Don McCullin cominciò la sua carriera ritraendo in bianco e nero il quartiere in cui viveva e i suoi amici, che facevano parte della gang londinese dei Guvnors.

In questo contesto, le foto scattate da Richard Billingham alla sua famiglia acquisirono una grande importanza. Le sue immagini a colori, dirette, con un grande uso del flash, fecero scalpore quando l’editore Scalo di Zurigo pubblicò nel 1996 il libro Ray’s a laugh. In realtà le foto erano state scattate come appunti, da usare poi per realizzare dei quadri.

Questo lavoro è considerato da molti una testimonianza della situazione di una famiglia britannica distrutta dal thatcherismo

Billingham, nato nel 1970 nell’area chiamata Black country a Birmingham, era all’epoca uno studente d’arte dell’università di Sunderland, dove aveva vinto una borsa di studio. Andava regolarmente a trovare il padre, Ray, che all’epoca viveva da solo perché era stato lasciato dalla madre. La donna, di nome Liz, se n’era andata a causa dei problemi di alcolismo del marito, che dopo essere stato licenziato dall’impresa d’ingegneria in cui lavorava aveva cominciato a bere ancora di più. Dopo un anno però era tornata a casa. ­Billingham fotografava i suoi genitori e il fratello minore, Jason, nel loro piccolo appartamento trascurato e kitsch, prima in bianco e nero e poi con le pellicole a colori più economiche che trovava. Mentre il padre beveva e la madre fumava una sigaretta dopo l’altra, Jason dava l’impressione di non fare nulla, un adolescente fluttuante in mezzo a una famiglia difficile, con cui la madre, sdentata, tatuata e obesa, aveva un rapporto piuttosto forte. In questo universo devastato, dove in una delle immagini più famose si vede un gatto in aria, dopo che è stato lanciato con violenza da Ray, i genitori condividevano però anche momenti di tenerezza.

Quando il professore universitario Julian German vide le fotografie di Billingham si rese subito conto che erano molto più di semplici studi per i suoi quadri e ne parlò con Michael Collins, il caporedattore del Telegraph Magazine, che le apprezzò molto. Collins propose a Walter Keller, il fondatore della rivista Parkett e delle edizioni Scalo, di farne un libro.

Una mostra controversa

Il volume, andato esaurito ormai da molto tempo malgrado tre riedizioni, è presentato oggi in una nuova versione, che segue la volontà del fotografo. L’atmosfera è la stessa, trash, in cui quello che succede è colto al volo, nel suo carattere grezzo. L’unico grande cambiamento è la comparsa di un neonato, il figlio di Jason, visibilmente adorato da tutti e in particolare da Ray, mentre la madre del bambino non compare mai.

Nel 1997, un anno dopo la pubblicazione della prima edizione, le foto furono esposte nella mostra _ Sensation_ alla Royal academy of arts di Londra, che poi è passata alla Hamburger Bahnhof di Berlino e al Brooklyn museum di New York. Doveva arrivare alla National gallery di Canberra, in Australia, ma fu annullata perché il direttore della galleria la trovava “troppo commerciale”.

L’esposizione presentava una selezione della collezione di Charles Saatchi, pubblicitario e grande collezionista di arte contemporanea (che in seguito avrebbe aperto una sua galleria) e ad alcuni sembrava soprattutto un espediente per lanciare i cosiddetti Young british artists, un gruppo di artisti emersi a Londra alla fine degli anni ottanta. Inoltre, malgrado, o forse proprio a causa, degli avvertimenti rivolti ai minori per i contenuti sensibili presenti in molte opere, la mostra provocò un vero e proprio scandalo.

Billingham si trovò immediatamente al centro dell’attenzione mediatica insieme ad altri, tra cui Damien Hirst, che per l’occasione esponeva uno squalo immerso in una soluzione di formaldeide; alle installazioni di Jake e Dinos Chapman con statue di bambini che giocavano con falli enormi; alle opere provocatrici di Tracey Emin, Sarah Lucas e alla scandalosa vergine di Chris Ofili.

Le polemiche sulla mostra amplificarono quelle che avevano cominciato a circolare su Billingham all’uscita del libro. Anche se tutti erano d’accordo nel considerare questo lavoro come una testimonianza molto dura della drammatica situazione di una classe operaia britannica distrutta dal thatcherismo – il libro usciva mentre Tony Blair arrivava al potere – alcuni rimproveravano al fotografo di sfruttare la sua famiglia per farsi un nome sul mercato dell’arte.

Umanità e denuncia

Lasciando da parte le critiche di chi affermava che questo genere di produzione non era arte o di chi la riteneva sgradevole, ci si può soffermare su un altro punto. Billingham mostrava sempre ai suoi genitori le foto che faceva, ma loro reagivano con indifferenza. Un aneddoto può spiegare meglio il loro rapporto con le foto del figlio e con la loro immagine. La tv britannica Bbc aveva realizzato un documentario sul giovane artista e aveva fatto delle riprese anche nell’appartamento dei suoi genitori. Il giorno dopo la messa in onda della trasmissione, gli abitanti del quartiere erano andati a congratularsi con la coppia:“Adesso siete delle star!”. E questi commenti gli fecero molto piacere.

La questione però è soprattutto un’altra: capire se Billingham, che ovviamente non è un voyeur, non finisce per trasformare noi spettatori in voyeur. E se così fosse, in _voyeur _di cosa? Di una situazione molto concreta, descritta spesso a parole ma raramente mostrata con immagini, o troppo spesso con immagini lacrimevoli, piene di buone intenzioni, che non permettono di produrre delle fotografie forti ed efficaci.

Non si può negare l’autenticità di questo progetto fotografico. Le immagini, tra l’altro, sono molto meno dure della situazione socialmente e umanamente disastrosa che mostrano. Non si tratta di immagini degradanti, ma della constatazione di una situazione molto degradata. E nella brutalità dell’approccio, nel modo di non eludere, di non rinnegare il proprio ambiente d’origine, possiamo osservare in Billingham una forma di umanità e di denuncia.

Quello che non si può negare a Billingham, che ha lavorato con talento anche in campo cinematografico, è di essere prima di tutto un fotografo. Di fatto il libro Ray is’n Witz (Ray’s a laugh) ha oscurato altri suoi lavori di grande qualità come Black country, per cui ha esplorato di notte il quartiere della sua infanzia, Cradley Heath, con una ricca gamma di colori e in un’atmosfera calma e contemplativa, che caratterizza anche i suoi altri lavori di paesaggista. ◆adr

Il libro

◆ La nuova edizione di Ray’s a laugh è accompagnata da un secondo volume intitolato Ray’s a laugh: a reader, che riunisce dei testi scritti dopo la pubblicazione nel 1996 dell’edizione originale. I due lavori sono stati pubblicati dall’editore londinese Mack.


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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati