A quindici anni Felix Mendelssohn scoprì la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, allora trascurata, e decise di restituirla al repertorio. Immaginò che il modo migliore per raggiungere il pubblico fosse aggiornare tecnicamente il capolavoro bachiano senza invadere l’invenzione del maestro. Ne ridusse la durata di un terzo, lavorando sui recitativi e aggiungendo un accompagnamento di fortepiano con nuove parti di sostegno armonico ed espressivo. Aggiunse all’orchestra clarinetto, organo e contrabbassi, aggiornando altri strumenti. Ottenne un risultato onesto ed efficace: l’eloquenza drammatica della grande creazione era rafforzata soprattutto con una nuova robustezza sonora, che la avvicinava alla sensibilità dell’ottocento. Non si trattava di sostituire Bach ma d’interpretarlo, tenendo conto delle carenze che il compositore stesso aveva espresso riferendosi agli interpreti del suo tempo. Il direttore Christopher Jackson ha capito il suo compito e l’ha svolto con attenzione, eccellenza dei mezzi ed espressività. Gli esecutori, soprattutto il coro, gli rispondono ad altissimo livello. Ottime anche le voci soliste, in particolare il tenore, alle prese con la lunghezza e la varietà narrativa e retorica della parte dell’Evangelista.
Blas Matamoro, Scherzo

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati