Hopkinson Smith, ricercatore instancabile, s’immerge nel cuore di pagine dimenticate dalla storia, anche se nei manoscritti di alcuni dei pezzi per liuto presentati in questo album ci sono molti momenti illogici, parti mancanti e altri pasticci. Sono pochi ad aver preso in esame le raccolte pubblicate in Italia all’inizio del cinquecento da Ottaviano Petrucci, il primo stampatore di musica polifonica. Uno è Massimo Lonardi, che ha registrato pezzi di Joan Ambrosio Dalza con un’eleganza sempre precisa, radicata a terra (Agora 1995). Ora c’è Hopkinson Smith, che invece guarda verso il cielo e privilegia atmosfere eteree e intimiste, del tutto prive di pesantezza. La sonorità sottilmente perlata del suo strumento affascina dall’inizio alla fine, e c’invita a un’introspezione immersa nella luce. Il montaggio insolito delle corde del suo strumento fa emergere questa luminosità donando più presenza al registro acuto. Le pavane e i saltarelli danzano con eleganza, e i ricercari, di scrittura polifonica, emozionano per la chiarezza delle loro linee. Al centro del programma culmina una frottola di Marchetto Cara, sottolineata da controcanti delicati.
Fabienne Bouvet, Diapason

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati