Quando Megan Pete ha raggiunto la fama all’inizio del decennio, era portatrice di un divertimento feroce e piacevole. Anche se era sempre occupata a ribadire la sua sensualità, c’era spensieratezza nei primi successi della rapper, che stesse collaborando con Beyoncé oppure con Nicki Minaj o Cardi B. Alcuni anni dopo, il suo umore si è inasprito. La ventinovenne potrebbe essersi assicurata un posto nel firmamento del rap – il recente singolo Hiss ha debuttato al primo posto della classifica statunitense – ma a giudicare da Megan, questo suo terzo album, non è mai stata così sola sulla vetta. Questo disco è una vetrina delle sue abilità – il flow della rapper è vivace e frizzante – ma il disco è un sermone ripetitivo sulla superiorità dell’autrice. Il mondo dell’artista ora è fatto di falsi amici (attualmente è in lotta con Nicki Minaj), relazioni adultere e tradimenti. Nonostante la sensualità da amazzone, la sua ricchezza e i suoi successi, è difficile invidiarla, perché il suo zeitgeist musicale è fatto soprattutto di traumi e vulnerabilità. L’ascolto del disco, inoltre, è abbastanza faticoso. Ci sono brani belli in modo sorprendente, come Cobra, ma i testi sono privi di senso dell’umorismo e d’inventiva. È un inno all’onanismo, e sembra semplicemente l’apice del triste isolamento di una stella del rap.
Rachel Aroesti, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati