Assumere psilocibina, il composto allucinogeno presente in alcune specie di funghi, resetta temporaneamente le reti neuronali responsabili del controllo della percezione del tempo e di sé. È quanto è emerso da uno studio che ha monitorato il cervello di sette volontari prima, durante e dopo l’assunzione di una forte dose di questa sostanza. I risultati potrebbero offrire indicazioni sul perché la psilocibina può avere effetti terapeutici per alcune patologie neurologiche.

I ricercatori hanno osservato cambiamenti tali che le reti neuronali di alcuni volontari sembravano quelle di altre persone, dice Shan Siddiqi, neuroscienziato dell’università di Harvard, negli Stati Uniti. La maggior parte dei cambiamenti è durata qualche ora, ma un collegamento cruciale tra diverse regioni cerebrali è rimasto alterato per settimane.

La psilocibina è una delle tante sostanze psichedeliche, tra cui l’lsd, la ketamina e l’mdma (o ecstasy), che sono state prese in considerazione per trattare patologie come la depressione e il disturbo post-traumatico da stress. Nonostante i dati promettenti, i ricercatori non comprendono ancora del tutto il meccanismo alla base dei loro effetti terapeutici.

Il modo in cui le sostanze psichedeliche incidono sulle singole cellule era già stato studiato, ma Joshua Siegel, esperto di neuroscienze sistemiche della facoltà di medicina della Washington university di St. Louis, in Missouri, ha adottato un approccio più ampio per capire come la psilocibina influisca sulle reti neuronali dell’intero cervello.

Insieme ai colleghi ha monitorato l’attività cerebrale di sette adulti sani prima, durante e dopo l’assunzione di una forte dose di psilocibina. Attraverso la risonanza magnetica funzionale sono stati mappati i cambiamenti del flusso sanguigno nelle diverse regioni del cervello, un metodo usato per misurare la comunicazione tra gruppi di neuroni cerebrali.

I ricercatori hanno confrontato le immagini con quelle del cervello degli stessi volontari in condizioni normali o dopo l’assunzione di uno stimolante. Hanno scoperto che la psilocibina comprometteva la sincronizzazione di gruppi di neuroni che di solito si attivano insieme. Gli effetti erano localizzati in un insieme di regioni chiamato “default mode network”, attivo quando il cervello è in stato di “riposo vigile” – per esempio durante i sogni a occhi aperti – e non è concentrato su un compito preciso. Anche se la maggior parte dei neuroni sembrava tornare in sincronia dopo la fine degli effetti acuti della sostanza, la comunicazione tra il default mode network e l’ippocampo anteriore – la regione coinvolta nella percezione dello spazio, del tempo e di sé – è rimasta limitata per settimane.

I ricercatori hanno inoltre scoperto che un esercizio mentale chiamato grounding, usato nella terapia psichedelica per attenuare gli effetti sgradevoli di una sostanza dirottando l’attenzione sull’ambiente circostante, riduceva gli effetti della psilocibina sul cervello.

Ipotesi da testare

Se già in passato si era capito che la psilocibina altera le reti neuronali, questo studio “offre una comprensione più dettagliata del fenomeno”, sostiene Brian Mathur, neuroscienzato dell’università del Maryland a Baltimora. Mathur avverte che i dati non permettono di individuare con precisione l’origine dei potenziali benefici terapeutici della psilocibina, ma offrono degli indizi. È possibile che la psilocibina inneschi direttamente i cambiamenti nel cervello, dice, o forse crea un’esperienza psichedelica che a sua volta modifica il comportamento di alcune regioni cerebrali.

Siddiqi aggiunge che sarà utile chiarire se siano i cambiamenti del flusso sanguigno nel cervello indotti dalla sostanza, i suoi effetti diretti sui neuroni o entrambe le cose a provocare le alterazioni delle reti neuronali. Siegel spera di condurre ulteriori esperimenti per studiare gli effetti della psilocibina sul cervello di chi soffre di patologie come la depressione.

“L’aspetto più importante di questo studio è che offre un modo per sviluppare ulteriori ipotesi che possono e devono essere testate”, conclude Mathur. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1573 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati