Non amo i reality “della sopravvivenza”, quelli in cui persone mediamente urbane sono catapultate su isole, atolli, foreste nere con un pugno di riso in tasca. Cosa siamo in grado di fare in stato di necessità lo possiamo immaginare, e non è un bel pensiero. Depressioni, eccessi di vario genere, risse per una foglia di fico, tutto concorre a un intrattenimento che ritengo superato. Va bene il sadismo di noi spettatori, fa parte del gioco, ma anche quello ha una data di scadenza. A meno che non intervenga un weka. È un uccello che vive in Nuova Zelanda. Tipo una gallina pelosa. È amichevole e non sa volare. Questo lo rende una specie vulnerabile e protetta. Un concorrente di Race to survive, preso dagli spasmi della fame mentre cercava di trovare un riparo tra i boschi dell’isola, ne ha puntato un esemplare, lo ha strozzato, arrostito e pappato. L’Unione neozelandese per la conservazione della natura si è molto arrabbiata e ha chiesto conto alla produzione che, come spesso succede, invece di assumersi le responsabilità di ridurre dei cristi con qualche velleità a feroci primitivi, ha scaricato il signor Jones, questo il nome del concorrente, eliminandolo dalla gara. Picco di ascolti. Lui ha provato a scusarsi: “Signori della corte, la fame è fame”. Ma le autorità, irremovibili, hanno difeso il weka, vittima del “reality della disperazione” che in qualche modo, e suo malgrado, ha contribuito a rilanciare. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1573 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati