**◆ **Quando si legge lo Zibaldone di Giacomo Leopardi, si resta stupiti dalla quantità di voci che irrompono nel suo pensiero: le figlie del carrettiere, la lavandaia, un passante e le persone che cantano per strada. Le loro voci entrano dalla finestra e lo portano lontano con la mente. Seduta vicino a una finestra, a sentire il rombo delle automobili, penso che oggi si canti davvero troppo poco. Da un po’ di tempo frequento un coro a Sferracavallo, una frazione di Orvieto, sotto la direzione di Martina Sciucchino: il Coro ritrovato. Questo nome mi fa pensare che c’è qualcosa da ritrovare, qualcosa che non sapevo neanche di aver perso. Andando alle prove serali, bisogna prima di tutto accordarsi come fossimo un unico strumento, e non sempre è facile. Dopo di che, si canta. A volte si ha la strana sensazione che il canto, invece di uscire dalle labbra, voglia entrare. Immagino il canto che vaga ramingo per le strade ed entra dalle finestre, e le nostre bocche aperte come dei retini che lo acchiappano e lo domano in una canzone. Lo Zibaldone prende il nome da una ricetta con molti ingredienti, un’accozzaglia di pensieri. Oggi finisce questa rubrica dove si sono mescolati i pensieri di un anno. La chiudo sperando di sentire cantare dalla finestra, e che il canto possa farci accordare in qualche strambo modo un po’ scordato, un po’ ritrovato.

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Questo articolo è uscito sul numero 1594 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati