C’è stato un momento a metà degli anni 2010 in cui il produttore londinese Jon Hopkins era probabilmente uno dei musicisti elettronici più entusiasmanti del mondo. Nei suoi album Immunity (2013) e Singularity (2018) aveva raggiunto nuovi livelli di trascendenza musicale, creando un’emozionante combinazione di suoni ambient ed eterei con ritmi pesanti e registrazioni sul campo. Music for psychedelic therapy (2021) aveva tutte le caratteristiche dei migliori momenti di Hopkins, ma le sue trovate si erano rivelate un po’ troppo deboli per reggere la durata del disco, superiore all’ora. Quindi il suo nuovo album Ritual dura appena 41 minuti ed è un unico brano diviso in otto capitoli. Il disco aumenta costantemente la tensione fino al picco dell’album, part vi – solar goddess return, per poi far calmare le acque negli ultimi due pezzi in scaletta. Come suggerisce il titolo, Ritual intende evocare le atmosfere di un rito. Anche se il disco possiede il marchio di fabbrica di Hopkins, la sua miscela di oscurità e luce, stavolta appare meno incisivo rispetto ai lavori precedenti. Gli antichi splendori sembrano lontani.
Adam Turner-Heffer, The Skinny
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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati