Cédric Kahn, nello stesso anno, ha realizzato due film molto diversi. Prima l’avvincente Il caso Goldman e ora una commedia sul cinema. O meglio una vertiginosa scatola cinese: un film su un film in un film dentro un film. Al primo giorno di riprese della “tragedia” sulla lotta (persa) di un gruppo di operai contro il trasferimento della loro fabbrica, un regista scopre che la grande casa di produzione che finanzia il suo film si è ritirata dal progetto. Due giovani rappresentanti del grande studio gli spiegano cinicamente che il pubblico può anche tollerare un film sociale, ma almeno a lieto fine. In realtà la colpa è di un altro produttore, quello con cui il regista lavora da una vita (intepretato da Xavier Beauvois, anche lui un regista). Mentre quest’ultimo finge di cercare finanziamenti, la troupe lavora senza garanzie in una vera fabbrica abbandonata dove gli ex operai fanno da comparse e da consulenti. Prima mise en abyme è la storia di un capitano che affonda con la sua nave mentre filma una nave che affonda, una storia scritta molto bene, con grande senso dei dettagli, che pone sottovoce una domanda spinosa: come può il cinema, mondo dorato e ovattato, raccontare un dramma sociale? La seconda mise en abyme è nel titolo: il regista licenzia il giovane incaricato di realizzare il making of del film e assume un pizzaiolo della zona che aspira a diventare regista, con la consegna di compiere un ritratto reale di quello che avviene sul set. Il pizzaiolo si rivela fin troppo zelante e Kahn così ha modo di rovistare tra i suoi ricordi e le sue nevrosi. Guillemette Odicino, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati