La musica degli Ezra Collective richiede movimento. Non è una cosa ovvia, visto che il jazz è spesso considerato un genere da gustarsi seduti, ma il gruppo abbraccia anche i suoni provenienti dal calypso, il dub, l’afrobeat, la jungle e il grime. L’anno scorso al Mercury prize con Where I’m meant to be hanno evitato il triste destino di tanti musicisti jazz che vengono nominati ma non vincono mai. Ora tornano con Dance, no one’s watching. Il disco trascina anche l’ascoltatore più ansioso sulla pista: impossibile resistere al groove funky del basso di TJ Koleoso o alla tromba di Ife Ogunjobi. A lungo la band londinese ha esaltato il potere della danza e stavolta lo dimostra. Non sorprende che il disco sia stato scritto in tour, mentre i cinque rimbalzavano come un flipper. Ogni brano riflette quel tipo di energia e la capacità di questi musicisti di scambiarsi idee mentre suonano. Certo, sono dei virtuosi, ma è l’abilità di fondere sonorità diverse a renderli speciali. Oltre a un disprezzo per le regole dei generi che è sempre bene in mostra.
Annabel Nugent, The Independent

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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati