Quando nel 1990 lessi Il Levante di Mircea Cărtărescu fu un colpo di fulmine. Allora sembrava evidente che in letteratura l’era dell’epica fosse definitivamente tramontata, ma Cărtărescu ci aveva raggirati tutti. Collocando l’azione alla metà dell’ottocento, epoca di rivoluzioni, e usando il linguaggio e le idee di quegli anni, ci aveva di nuovo trasportati al tempo dei poemi epici. Ma la sottile ironia con cui manteneva una certa distanza da quel mondo, per non cadere nel patetico e nel naïf, le parafrasi e gli inserti tipicamente postmodernisti avevano creato uno straordinario equilibrio tra la concezione romantica dell’opera e il carattere contemporaneo del contenuto. Un capolavoro, senza dubbio. Da due settimane ho finito di leggere Theodoros e mi sono concesso una pausa (forse non abbastanza lunga) per digerire il romanzo che in qualche modo chiude il ciclo aperto con Il Levante. Perché ne è una sorta di gemello, complementare all’epica di cui ho appena parlato. Theodoros è un romanzo che può essere letto come un’opera su due piani convergenti, ma rimane pur sempre un’epopea. Il suo protagonista è infatti un Don Chisciotte che si è nutrito della letteratura cavalleresca del medioevo occidentale ma anche, visto che siamo alle porte dell’oriente, di romanzi popolari, insegnamenti papali (senza arrivare a raffinatezze teologiche), rudimenti di filosofia sul destino. Anche se nella lettura del libro non ci si pone mai il problema della plausibilità, si può affermare che Theodoros si sviluppa in un ambiente culturale perfettamente credibile per l’epoca. Nel romanzo c’è materiale da cui si potrebbero sviluppare decine di racconti, avvenimenti bizzarri, storie di banditi e pirati, monaci e monasteri, la regina Vittoria e la politica britannica. Non c’è nulla che non sia credibile, perché tutto è documentato con precisione. Su questa valanga di fatti si erge l’immagine di un eroe in cerca del suo destino. Il destino: mi pare questa la chiave di tutto. L’umile eroe del villaggio di Ghergani alla fine diventerà imperatore. Ma che tipo d’imperatore? D’un regno oscuro, in balia di un impero più grande, quello della regina Vittoria, ed entrambi sottoposti a un dominio ancora più immenso, quello di dio. Perché in fondo tutto è vanità. Tutto, tranne la letteratura.
Mihai Badici, Contributors
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Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati