“Da zero?”, si chiede la nuova cantante dei Linkin Park, Emily Armstrong, nei secondi iniziali dell’ottavo album della band, From zero. La domanda non è solo un’allusione al nome originale dei Linkin Park dal 1996 al 1999, Xero, ma un riconoscimento dell’elefante nella stanza: il suicidio del cantante Chester Bennington nel 2017, che ha portato la band a riorganizzarsi. I Linkin Park abbracciano l’inevitabilità del cambiamento. È sconcertante, quindi, che passino gran parte del tempo a rivivere il passato. From zero scimmiotta lo stile dei primi tre album senza avere lo stesso impatto. La furia angosciata di Hybrid theory (in Two faced), gli inni carichi di ritornelli di Meteora (in The emptiness machine) e le inclinazioni alt-rock di Minutes to midnight (in Cut the bridge, una clamorosa imitazione di Bleed it out) non sono solo punti di riferimento, sono il fondamento della musica. Non è per forza una cosa negativa: un ritorno alle origini sarebbe più tollerabile del pop e della pesantezza elettronica che hanno tormentato le ultime uscite dei Linkin Park, ma nessuna di queste canzoni può reggere il confronto con In the end o Breaking the habit. A causa della natura tossica e misogina della reazione che il gruppo ha dovuto affrontare per aver sostituito Bennington con Armstrong, molti daranno la colpa delle carenze dell’album alla nuova cantante. In realtà la sua performance è la cosa migliore che From zero ha da offrire. Ma è un peccato che sia costretta a fare del suo meglio in mezzo a un karaoke dei Linkin Park.
Paul Attard, Slant

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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati