Alla conferenza Cop29, che si è conclusa in Azerbaigian il 23 novembre, i negoziatori del sud globale, in particolare quelli africani, sono rimasti delusi: avevano chiesto ai paesi sviluppati 1.300 miliardi di dollari all’anno di aiuti per la transizione climatica da oggi al 2035, ma l’accordo finale ne prevede solo 300 miliardi. L’Africa produce il 3,2 per cento delle emissioni di gas serra globali, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, ma è colpita in modo sproporzionato dalla crisi climatica. Il sito African Arguments raccoglie alcune voci critiche. Mohamed Adow, direttore dell’organizzazione ambientalista keniana Power shift Africa, sostiene che “la Cop29 è stata un disastro per il mondo in via di sviluppo, un tradimento dei popoli e del pianeta. I leader africani ora devono collaborare per trovare risorse complementari e investire il più possibile sulle energie pulite”. L’attivista del Botswana Thaito Gabaitse denuncia la natura neocoloniale e oppressiva del sistema, da cui arrivano solo promesse vuote. Per Evans Njewa, alto funzionario del Malawi, “sono stati sprecati tre anni di lavoro, durante i quali i paesi meno sviluppati hanno lavorato in buona fede su soluzioni condivise. Ma i paesi ricchi hanno dimostrato di non avere riguardo per i miliardi di persone in prima linea nella lotta contro la crisi climatica”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati