Sì, è quella Frieda Hughes, pittrice e poeta e, come lei stessa si descrive nel suo entusiasmante memoir La mia vita con George, “FIGLIA-DI-TED-HUGHES-E-SYLVIA-PLATH” (tutto maiuscolo con i trattini). È la sola sopravvissuta di una leggenda letteraria: i suoi genitori sono titani della poesia del dopoguerra. Frieda Hughes ammette tacitamente che la sua vita è stata definita dalla separazione dei suoi genitori e dal suicidio della madre, nel 1963, quando era ancora molto piccola. La mia vita con George è un modo per ricollegarsi a quel mito fondativo, un diario delle sue avventure con l’astuto volatile che le aveva rubato il cuore in un momento di particolari difficoltà personali.
Dopo una vita da girovaga, nel 2007 Hughes si sposa con un pittore australiano conosciuto a Perth e decide di mettere radici rimettendo a posto una casa di campagna nel Galles. Nel corso del libro l’autrice si riferisce al marito come all’ex, anticipando la fine di quel disgraziato matrimonio. La sua presenza nella storia è marginale: lui guarda video di Arnold Schwarzenegger, pieno di rabbia, mentre lei si lancia in vari progetti tra cui la cura dell’ampio giardino che circonda la casa. Un giorno adotta un piccolo di gazza caduto dal nido. È perfettamente cosciente che i suoi vicini considerino quei volatili dei pericolosi parassiti ma a lei non interessa: “Se i corvi hanno una loro gravitas e le taccole sono curiose, le gazze hanno uno straordinario senso dell’umorismo”. La gazza George si adatta subito alla vita della casa: gioca con i cani di Hughes e traumatizza la domestica con la sua aggressività. Questo uccellino smuove l’istinto materno dell’autrice ma la isola dagli amici e mette a dura prova la pazienza del marito. Fedele alla sua natura di ladro George raccoglie e nasconde croccantini dei cani, lampadine e pezzi di spago: beve anche il latte da un bicchiere. Hughes ammette di averlo antropomorfizzato, trasformandolo in un piccolo Rasputin pennuto. Hughes però è anche un’abile narratrice: c’è un altro memoir nascosto tra le righe. Questo libro è sia una lettera d’amore alla gazza che ha cambiato il corso della sua vita, sia una presa di coscienza del voyeurismo dei lettori, “la folla che sgranocchia noccioline”, come diceva Sylvia Plath in una sua poesia. Hamilton Cain, The Wall Street Journal
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Questo articolo è uscito sul numero 1592 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati