L’esercito israeliano ha fatto irruzione nell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia il 27 dicembre, per la terza volta. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’operazione ha costretto l’ultimo ospedale funzionante nel nord della Striscia di Gaza a sospendere le attività. Sono scoppiati incendi nel laboratorio e nel reparto di chirurgia e cinque componenti del personale medico, tra cui un pediatra, sono stati uccisi dall’esercito israeliano. Circa 350 persone che si trovavano nella struttura sono state costrette a uscire e a spogliarsi. Alcuni pazienti sono stati trasferiti al vicino ospedale Indonesiano, che la settimana prima aveva subìto un’altra incursione dell’esercito israeliano.

Il direttore dell’ospedale Kamal Adwan è il medico Hossam Abu Safiya: suo figlio Ibrahim è morto in un attacco aereo israeliano sulla struttura a ottobre e Abu Safiya stato arrestato dall’esercito (Israele ha confermato che è detenuto nel centro di Sde Teiman, dove secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani i palestinesi subiscono abusi e torture). Tre medici di Gaza sono morti nelle carceri israeliane durante gli interrogatori o per mancanza di cure mediche. Secondo i dati delle Nazioni Unite, dall’inizio della guerra a Gaza sono stati uccisi 1.057 operatori sanitari. Il sistema sanitario è collassato a causa del gran numero di vittime, della distruzione degli ospedali e della carenza di medicinali, letti e personale. Le immagini strazianti di quello che succede negli ospedali di Gaza trasmesse dalle tv straniere – la televisione israeliana si rifiuta di mandarle in onda – mostrano bambini che muoiono su pavimenti coperti di sangue, feriti non curati che gemono dal dolore e un terribile sovraffollamento.

Due pistole e un coltello

Il 29 dicembre l’esercito israeliano ha affermato di aver arrestato più di 240 terroristi nell’ospedale e che il direttore dell’istituto è sospettato di essere un agente di Hamas. Per dimostrarlo, ha diffuso le immagini di due pistole e di un coltello trovati nell’ospedale. Invece di confermare le affermazioni dell’esercito questo magro bottino fa il contrario. Per due pistole e un coltello non si cacciano decine di pazienti e medici da un ospedale facendoli marciare in mutande, in una notte fredda, davanti alle telecamere per umiliarli.

È lecito supporre che i danni intenzionali agli ospedali di Gaza abbiano uno scopo diverso. Sembra che con la pulizia etnica nel nord della Striscia, durante la quale l’esercito ha distrutto quasi tutte le abitazioni e le infrastrutture della zona per impedire il ritorno di centinaia di migliaia di persone espulse, sia stato deciso di distruggere anche gli ospedali. In assenza di strutture mediche, il nord di Gaza si svuoterà più rapidamente, mentre i malati e i feriti fuggiranno verso sud nel tentativo di trovare assistenza. Un’area così grande non può essere lasciata senza ospedali, soprattutto durante una guerra.

La quarta convenzione di Ginevra riconosce uno status speciale agli ospedali in tempo di guerra. La presenza di armi leggere e munizioni in un ospedale non giustifica un attacco, neanche la presenza di combattenti nemici tra i pazienti ricoverati. Il nord di Gaza è stato distrutto e devastato, l’esercito israeliano è ora impegnato soprattutto a completare la sua distruzione. Si tratta di un’azione illegittima. E in ogni caso è vietato colpire gli ospedali. ◆ dl

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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati