Fin dall’incipit l’avvertimento è chiaro: “… Se cerchi la gioia, vai avanti. Se pensi di andartene da qui con la pancia piena di belle sensazioni, hai sbagliato porta”. Il tono del libro è questo e tale rimarrà, senza tregua, per tutta la durata di questo monologo violento e inquietante. Chi parla è un vecchio medico in punto di morte che ha dedicato la vita al servizio degli altri. Non tanto per carità – parola che sembra essere assente dal suo vocabolario – quanto per sete di ascesa sociale e gusto del potere. Alla fine della sua vita, mentre altri avrebbero confessato i propri errori, questo arrogante narratore sceglie di giustificare tutte le sue terribili azioni. Mentre i suoi ricordi riaffiorano in un fiume di “bile malsana”, lui riversa il suo odio per i codardi e i deboli, il suo disprezzo per le donne – che vanno solo ingravidate ed educate, con un bastone se necessario – ma anche tutta la sua rabbia contro un’epoca in decadenza. Il suo è un furore alimentato dal suo stesso decadimento che lo mette alla mercé di due donne: Kitty, la figlia, cresciuta nel disincanto, nella paura e nella sottomissione, e Malika, una nipote ribelle e provocatoria. Due “streghe” sono pronte a combattere questo tiranno domestico affinché confessi e sollevi il velo sulla tragica morte della moglie, la cui ombra non smette mai di perseguitarlo. In questo incontro a porte chiuse e ad alta tensione, Ananda Devi cammina sul filo della (dis)umanità, come per svelare meglio le ombre sulfuree che lì si aggirano.
Christine Rousseau, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati