Secondo una regola non scritta del cinema, da grandi libri raramente escono fuori grandi film. Anzi, è facile che ne escano fuori delle schifezze. Invece il primo film drammatico di RaMell Ross, sceneggiato insieme a Joslyn Barnes, è un adattamento del romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead ed è straordinario. È una versione fedele del libro, di cui onora sia lo spirito sia la struttura, riuscendo anche a essere un’opera cinematografica innovativa. Racconta la storia di Elwood (Herisse), un adolescente afroamericano nella Florida segregata dei primi anni sessanta, ingiustamente spedito in un riformatorio statale, la Nickel academy, dove la brutalità delle guardie razziste è solo in parte mitigata dall’amicizia con Turner (Wilson), un altro ragazzo nero, anche lui detenuto. È una storia straziante e rabbiosa, ma quello che conferisce al film la sua potenza selvaggia è l’approccio formale radicale usato con coraggio da Ross, che ha deciso di girare il film quasi interamente dal punto di vista dei due personaggi principali. All’inizio questa scelta può disorientare ma presto rivela la sua efficacia. Per esempio siamo direttamente colpiti dallo sguardo fisso sull’obiettivo di un uomo bianco, e capiamo che cerca solo una scusa per partire all’attacco. Condividiamo pienamente la risposta istintiva di Elwood, che abbassa lo sguardo e si guarda la scarpe solo per sfuggire al confronto. Eppure questo espediente non funzionerebbe così bene se non fosse per la cura artigianale di ogni dettaglio, per esempio nel suono o nelle scenografie, che risultano arazzi delicati e intricati. Sapiente poi l’uso dei materiali d’archivio, che contestualizza e aggiunge peso alla storia, tirandone i fili temporali fino ai giorni nostri. Un capolavoro.
Wendy Ide,The Observer
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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati