Con Donald Trump che impone dazi a raffica e sbandiera la forza delle sue alleanze militari in Asia, si potrebbe pensare siano tempi difficili per la Cina, che gli Stati Uniti considerano il loro principale rivale. Le notizie che arrivano da Pechino, però, restituiscono un quadro diverso: la politica nazionalista del movimento Make America great again (Maga) sta costringendo i leader cinesi a correggere i loro errori economici più gravi, creando anche l’opportunità di ridisegnare la mappa geopolitica dell’Asia a vantaggio della Cina. Il paese asiatico è uscito malconcio dalla sfuriata di Trump. Con i nuovi dazi al 34 per cento, che si sommano a quelli già in vigore, si arriva al 65 per cento, o anche di più se si tiene conto della cancellazione delle esenzioni doganali per i pacchi di piccole dimensioni (il 9 aprile Trump li ha portati al 125 per cento, ndr). Dato che le esportazioni continuano a rappresentare il 20 per cento del pil cinese, questi cambiamenti danneggeranno l’economia. La tattica di Pechino di aggirare i dazi facendo passare i suoi prodotti per paesi come il Vietnam sarà meno efficace, dopo che gli Stati Uniti hanno messo dazi a tutto il mondo.
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La guerra commerciale scoppia mentre la Cina è ancora alle prese con la deflazione, con la bolla immobiliare e con il declino demografico. Negli ultimi cinque anni il Partito comunista ha trascurato il problema dei consumi interni ancora deboli, sposando uno statalismo poco lungimirante che ha ostacolato il settore privato. La Cina ha esportato l’eccedenza di capacità produttiva inondando il mondo di merci e ha alimentato uno scontroso nazionalismo che colpisce gli alleati degli Stati Uniti sia in Asia sia in Europa. Tuttavia, entra nella nuova era Maga più forte rispetto al primo mandato di Trump. Da tempo il presidente cinese Xi Jinping sostiene che gli Stati Uniti sono troppo polarizzati e sottoposti a eccessive tensioni per poter sostenere il loro ruolo globale. Uno dei suoi slogan avverte di “grandi cambiamenti mai visti nell’ultimo secolo”.

Il suo nazionalismo paranoico sembrava un’esagerazione distopica, ma ora che Trump si sta infliggendo danni così sconsiderati appare in anticipo sui tempi. Xi si prepara per questo mondo caotico da quando è diventato segretario del Partito comunista cinese nel 2012: ha imposto l’autosufficienza economica e tecnologica; ha ridotto la vulnerabilità agli strumenti di pressione degli Stati Uniti, come le sanzioni o i controlli sulle esportazioni; anche se le banche hanno ancora bisogno dell’accesso ai dollari, oggi il paese fa gran parte dei suoi pagamenti internazionali non bancari in yuan; le aziende manifatturiere stracciano la concorrenza occidentale in settori che vanno dai veicoli elettrici alla cosiddetta “economia dello spazio aereo a bassa quota”, cioè droni e taxi volanti. Dal punto di vista cinese, i dazi di Trump condanneranno Detroit a un’obsolescenza in stile anni settanta e la crociata contro le università frenerà l’innovazione.
Un esempio delle potenzialità cinesi è la startup d’intelligenza artificiale (ia) DeepSeek, un segnale che il paese è in grado di fare innovazione aggirando l’embargo statunitense sui semiconduttori. Pechino se la cava benissimo con l’ia sviluppata in casa, e questo potrebbe permettere alla tecnologia di diffondersi in Cina più rapidamente di quanto non succede in occidente, rafforzando la produttività. Se si aggiunge che Xi sembra diventato più tollerante con gli imprenditori, ecco spiegato perché nel 2025 le borse cinesi sono salite del 15 per cento nonostante il calo dei titoli statunitensi.
Un aumento dei consumi sarebbe un vantaggio anche per le relazioni con l’estero
Quattro anni dopo l’esplosione della bolla immobiliare il settore pesa di meno sul rallentamento della crescita. In alcune città, tra cui Shanghai e Nanchino, i prezzi stanno addirittura risalendo. Il partito, inoltre, ha preso dei provvedimenti, sia pure in ritardo, per stimolare i consumi. I governi locali possono rifinanziarsi con titoli di stato a tre anni per un valore di seimila miliardi di yuan (757 miliardi di euro), a cui quest’anno si aggiungono titoli di stato “speciali” per 4.400 miliardi di yuan. Alle famiglie arriveranno un po’ di soldi in più.
Opportunità geopolitiche
Ma per cogliere le opportunità economiche Pechino deve smettere di perseguitare il settore privato. Perfino gli autocrati leninisti cinesi capiscono che la repressione avviata nel 2021 in nome del “benessere comune” si è spinta troppo oltre. Anche se alcuni funzionari più oltranzisti non hanno ancora recepito il messaggio, il vice di Xi, Li Qiang, ha approfittato di un discorso pronunciato il 23 marzo per lodare i “draghi” di Hangzhou, la capitale dell’innovazione cinese.
L’economia avrà inoltre bisogno di ulteriori stimoli per far crescere i consumi e di sforzi più incisivi per stabilizzare il mercato immobiliare, fattori che ancora pesano sulla fiducia delle famiglie. Un aumento dei consumi rappresenterebbe un vantaggio anche per le relazioni cinesi con l’estero, perché contribuirebbe a ridurre l’eccesso di produzione: mentre gli Stati Uniti innalzano muri, la Cina avrà l’opportunità di investite nel settore manifatturiero dei paesi partner invece di inondarli di esportazioni.
A queste opportunità economiche si affiancano quelle geopolitiche. La mancanza di chiarezza della politica statunitense verso la Cina è allarmante. I falchi nell’amministrazione ripetono che, ritirandosi dall’Europa, Washington libera risorse per contenere la Cina. Trump però ammira Xi e ha inviato a Pechino il senatore Steve Daines con il compito di tastare il terreno in vista di un possibile accordo, che dovrebbe riguardare anche il social network TikTok.
La Cina scommette sul fatto che le dichiarazioni degli ambienti Maga sulla necessità di allontanare la Russia dalla Cina siano delle sciocchezze. E il protezionismo, gli insulti agli alleati e l’indifferenza per i diritti umani esibiti da Trump sono una sconfessione dei valori statunitensi: il faro del mondo libero oggi appare imprevedibile e pericoloso.
Xi non ha intenzione di riempire il vuoto lasciato dallo zio Sam, ma ha la possibilità di ampliare l’influenza cinese, soprattutto nel sud globale. Se oltre a diffondere tecnologie verdi Pechino farà di più per tagliare le emissioni di anidride carbonica, potrebbe mostrare anche una capacità di leadership sulla crisi climatica.
Il disprezzo di Trump nei confronti della Nato e dell’Ucraina ha eroso la fiducia nell’impegno statunitense a favore degli alleati in Asia e nella disponibilità della Casa Bianca a lottare per Taiwan. Se gli Stati Uniti faranno passi avanti nella produzione interna di semiconduttori avanzati, l’incentivo a difendere Taiwan diminuirà ulteriormente. Questo è un regalo a Xi. Ci sono però ancora dei pericoli. La guerra commerciale potrebbe innescare una recessione globale. Se Trump non riuscirà a trovare un accordo con Pechino, potrebbero esserci ulteriori sanzioni. La Cina comunque sarebbe spinta a guastare i rapporti con il resto del mondo, inondandolo ulteriormente con le sue esportazioni. La possibilità di sfruttare questo momento cruciale è nelle mani di un solo uomo: Xi Jinping. Ma l’esistenza di questa opportunità si deve in larga misura a un altro leader: Donald Trump. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati